Nel podismo, cosa insegnano i percorsi

Nel podismo, così come nella vita, ogni tipo di percorso che effettuiamo ci riserva un qualche insegnamento, se solo vi prestiamo un minimo di attenzione. Nel podismo, così come nella vita, nel correre e nel vivere un percorso, apprendiamo cose altrimenti negate alla nostra esperienza. Si tratta solo di riflettervi sopra, di notare e di tracciare il solco inevitabile che delinea la differenza fra la teoria e la pratica. Non si corre e non si vive a caso, almeno non si dovrebbe.

Nel podismo, esistono in effetti tre tipi di percorsi: salita, pianura, discesa. Diciamo che la salita insegna molto, la pianura insegna e basta, la discesa inganna. E scendiamo nei particolari.

Correre in salita significa innanzitutto avere rispetto per il percorso. Primo insegnamento: non si deve mai sottovalutare l’impegno, che… deve cominciare il giorno precedente. Nel senso che ci si alimenta degnamente e si va’ a dormire in orario compatibile per un buon riposo notturno. Ecco che già da questo atteggiamento, da questo come si suol dire “stile di vita”, il podista apprende che tutta la sua giornata deve essere contrassegnata dal suo modo di essere e di vivere, e che cioè, detto in altri termini, non si corre solo in coincidenza con il tempo dedicato all’allenamento. Altre cose che la salita c’insegna è che l’impegno profuso è direttamente proporzionale a quello della corsa media, per cui essa può tranquillamente “sostituire” questo… “insostituibile”… ritmo di allenamento. Poi, e lo si capisce facilmente, che la salita potenzia le gambe; perché si vuole dire ciò che si vuole, però, se le gambe non spingono… Questo è vero in assoluto nel podismo, ma nella corsa in salita il dato assume i caratteri della necessità. Infine, siamo indotti a modificare lo stile di corsa, vale a dire che siamo costretti ad adattarlo al percorso stesso. Pensiamoci. Le ginocchia si devono per forza sollevare (e spesso non lo facciamo), affinché si possa poggiare di avampiede e non di tallone (e spesso avviene il contrario). Il busto s’inclina leggermente in avanti, poiché è lì, più davanti, che si vuole andare. E si raccolgono tutte le risorse che possediamo, per ottenere lo scopo. Per tale motivo, oscilliamo maggiormente le braccia, per aumentare la spinta che di solito ci danno, onde ottenere quello che possiamo chiamare “effetto altalena”. Ma soprattutto, la salita c’insegna ad avere pazienza e determinazione. Perché quando tutto sembra perduto e la stanchezza ci assale, dopo che contro di lei ci siamo ostinati, ecco che arriva la punta finale della salita, il nostro traguardo, dal quale vediamo un panorama bellissimo: lo sforzo vittorioso che abbiamo concluso, per raggiungere il nostro obiettivo!

Correre in pianura significa innanzitutto avere cura dello stile di corsa. A parte tutto il resto, quello che vale per tutti i podisti che si fregiano di questo appellativo (orario, alimentazione, programma, eccetera eccetera), in pianura si ha l’esatta dimensione del nostro modo di correre. Su di essa possiamo sperimentare (e allenare) tutte le nostre potenzialità, affinandole esaltandole oppure deprivandole; dipende dal modo e dal tipo dei nostri allenamenti. Inoltre, in pianura possiamo esercitare tutti i tipi di corsa: corsa lenta media o progressiva, fartlek, ripetute e via discorrendo. Insomma, la pianura è il nostro “laboratorio”. E nei laboratori, si sa, si lavora e s’impara!

Correre in discesa significa innanzitutto imparare a proteggersi e… a diffidare delle cose facili. Non delle cose semplici, delle cose facili; il che è diverso. Le cose facili ci portano a non migliorare le nostre capacità, quelle semplici a comprendere come farle meglio… E poi in discesa tutto il peso del corpo grava sulle articolazioni; come se non bastassero gli innumerevoli urti dovuti all’impatto dei piedi sul tracciato… Quindi, la discesa sarebbe quasi da abolire nelle corse (e nelle gare) di podismo. Ma poiché è impossibile…, la discesa c’insegna che a percorrerla è meglio inclinare in avanti il busto e la testa, per essere perpendicolari al terreno, ed avanzare dunque solo dalla spinta naturale del corpo, senza spingere di gambe; e che il ritmo da tenere non sarà mai sostenuto, limitandosi ad assecondare quello che il corretto stile di corsa in discesa si starà effettuando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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