La potenza aerobica

Ogni tanto bisogna ripercorrere la terminologia podistica, perché a furia di sentire o di pronunciare certe parole si può finire col perderne il sostanziale significato. Prendiamo il caso di “potenza aerobica”.  Sia l’aggettivo che il sostantivo potrebbero incutere una certa insicurezza, nel lettore o nel parlante (e anche nell’ascoltatore). Da un lato, la “potenza” rimanda a un significato ben preciso di “forza”; da un altro lato, invece, la parola “aerobica” lascia intendere una corsa, tutto sommato, non lontana da un ritmo rilassato. Dite la verità: qualche volta, non  viene anche a voi il dubbio?

La potenza aerobica è la massima quantità di ossigeno che può essere utilizzata in una data unità di tempo da un atleta. In effetti, è la condizione per la quale i muscoli cominciano ad accumulare acido lattico. Anzi, si può definire come il limite che differenzia due meccanismi fisiologici ben distinti e separati fra di loro, e cioè il sistema aerobico e quello anaerobico. Si parla quindi di “potenza aerobica”, quando si mettono in atto certi allenamenti che comportano un deciso miglioramento prestativo, per il “semplice” motivo che nei muscoli l’accumulo di acido lattico viene ritardato. Fermo restando che ogni podista ha una sua individuale genetica, che alcuni definiscono “la cilindrata del motore”, con gli opportuni allenamenti la si può migliorare, di poco, ma la si può migliorare, nell’ordine del 10-20%, a seconda delle circostanze. Quali sono, o quali possono essere queste circostanze, è presto detto.

Gli allenamenti specifici per la potenza aerobica sono quelli che prevedono corse intervallate a intensità assai prossima a quella del ritmo gara in una 10 km. Le ripetute, le variazioni e i progressivi si prestano ottimamente alla bisogna. A fronte però di ogni singola seduta che si sceglie di effettuare, bisogna sempre ricordare che i muniti di “lavoro” occorrenti per migliorare la potenza aerobica, devono oscillare intorno ai 30. Questo, ovviamente, per una 10 km. Per una 21, evidentemente, i minuti si “dilatano” fino ad arrivare all’ora piena. Per una maratona, per ovvi motivi, è meglio sorvolare, trattandosi di un argomento molto più complesso (non “complicato”, “complesso”…).

Si tratta di tenere un ritmo molto sostenuto in alcuni tratti, facendoli seguire immediatamente da altri di corsa blanda, più… lenta della corsa lenta, evitando di camminare però, onde favorire il parziale ripristino di determinate situazioni fisiologiche che afferiscono alla ventilazione polmonare, al trasporto periferico di ossigeno da parte dei globuli rossi e dell’emoglobina in essi contenuta, alla composizione in fibre (bianche e rosse) del tessuto muscolare, nonché ai numeri e alla qualità di enzimi e mitocondri. Vediamo nello specifico, rapportando una sorta di schema per un podista in grado di correre una 10 km in 40’, cioè al ritmo di 4’ al km.

Ripetute da 1.000 – 10×1.000 (non meno di 6×1.000), con recupero fra le prove di 3’;

Ripetute miste – 2×2.000 (rec. 5’) + 2x 1.000 + 2×500 (rec. 1’);

Progressivi – 20’ di corsa lenta + 20’ di corsa media + 20’ di corsa veloce;

Percorso collinare – Con brevi salite e discese (anche di 200 metri circa) da correre, le prime, con impegno massimale e le seconde con ritmo rilassato.

Una volta scelto un allenamento del genere, lo si dovrebbe effettuare non più di una volta a settimana, per un periodo di almeno due mesi prima di notare… qualche cosa di incoraggiante.

 

 

 

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