Conversando con “IL CAPITANO”

I podisti ultraventennali come me, inevitabilmente, e il più delle volte piacevolmente, conoscono e apprezzano delle persone che per professione svolgono anche l’importante compito della vendita di articoli sportivi, soprattutto nel caso di specie, di scarpe. In fondo, se il lavoro generalmente inteso è quell’attività utile al soddisfacimento personale e al funzionamento della società, queste persone, i rivenditori di articoli sportivi, sono molto importanti nel mondo podistico, perché sono amici esperti che agevolano l’approccio all’acquisto di abbigliamento specifico.

Detto ciò, mi viene spontaneo raccontare un episodio capitatomi proprio ieri, nel recarmi a San Giuseppe Vesuviano, presso “IL CAPITANO”, a proposito di certi indumenti sportivi. Mi avevano detto che era una brava persona, competente e attenta alle esigenze dei podisti. Ho avuto modo di conversare con Massimiliano, questo il suo nome, e di avere la conferma che quanto si diceva di lui corrisponde a piena verità. Intanto, appena iniziata la conversazione, ho avuto subito un’ottima impressione, perché lui aveva assunto l’atteggiamento… dell’ascoltatore, non del parlatore. Voglio dire che, per quello che i miei 68 anni di vita mi hanno insegnato, chi ascolta con fretta, avendo premura di parlare a sua volta, non corrisponde all’ideale interlocutore, a colui che sente veramente gli argomenti dell’altro, per rispondergli convenientemente, nel rispetto della persona che ha di fronte. Gli dicevo che sono molto critico con i costruttori di scarpe, perché hanno indotto i podisti, mentre corrono, a poggiare di tallone e non di avampiede, come si dovrebbe, insistendo troppo sulle A3, quelle tanto per intenderci meglio che hanno un rialzo di almeno 3 centimetri al tallone (la conchiglia della scarpa). E non solo. Seguendo questa “linea di condotta”, il più delle volte hanno ignorato il “drop”, il differenziale fra tallone e punta della scarpa, mortificandolo con un’altezza che quasi sempre supera i 10 centimetri, mentre sarebbe il caso che risultasse molto più contenuto. Massimiliano conveniva con me, però mi faceva osservare che obiettivamente è arduo correre una maratona di avampiede, per cui un rialzo al tallone è quasi indispensabile. Al che io non potevo che essere d’accordo, pur precisando che si corrono molte 10 km rispetto alle 42 km. Evidentemente, prevale nei costruttori di scarpe l’esigenza del “mercato”. La grande massa dei podisti, che per fortuna si è avvicinata al mondo podistico, va’ in un certo qual modo assecondata. Se sono un po’ sovrappeso, se non sono più giovanissimi, se non hanno possibilità di allenarsi su pista, eccetera eccetera, mettono una maglietta, delle scarpette, e via… Ciò determina la convinzione che si debba e si possa poggiare di tallone. In effetti, è uno dei problemi della civiltà… Quando l’uomo venne sulla Terra…, correva di avampiede…, non poteva fare altrimenti. Poi, con la civiltà, ha modificato il suo atteggiamento… Massimiliano sorrideva consenziente… Aggiungeva che il mercato determina certi “gusti”. Ad esempio, mi diceva, se solo volessimo fare un raffronto fra le scarpe di un 5/6 anni fa e le attuali, noteremmo un grande cambiamento, nella risoluzione dei materiali e nelle tecniche che migliorano la leggerezza e la reattività elastica della scarpa. E mi faceva l’esempio di un modello di una scarpa, che non sai più se è una A2 oppure una A3… Infatti, quel modello l’ho usato e lo sto usando… Eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Per chiudere, ho voluto accennare al “toe box”, presente e protetto nelle primissime scarpe podistiche e poi del tutto scomparso, proprio a ragione delle esigenze di mercato: altrimenti, le scarpe… come si potrebbero consumare?

Me ne sono andato dal “Capitano” con un po’ di dispiacere: fa’ bene ogni tanto parlare con una persona seria e competente, sia pure in un certo qual modo distante, vista nella prospettiva cliente- negoziante… Ma la nostra stretta di mano nel salutarci, ha sancito come un ponte di amicizia che ha collegato due persone.

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