Sponsor: amico indispensabile, o nemico inevitabile?

A vedere un vecchio annuncio di una gara podistica, per altro prestigiosa, come la Maratona di Cesano Boscone del 1986 e rapportarlo ai volantini che reclamizzano una qualsiasi gara dei giorni nostri, vien da pensare a tutta una serie di considerazioni circa l’intero movimento podistico, regionale e nazionale. Certo, dopo trent’anni, si può e si deve pensare che è trascorsa… un’era “archeologica”, che la società è quasi completamente mutata e che qualsiasi avvenimento della vita sociale ha inevitabilmente, e giustamente, fagocitato nuovi modelli comportamentali. Inutile ricordare che non esisteva internet, ad esempio, e… come diceva il compianto Peppino De Filippo, “ho detto tutto!”

Ma a volere rimarcare le differenze sostanziali fra i volantini di una volta rispetto agli attuali, a parte il fatto che i primi erano quasi inesistenti e al limite riportavano solo i patrocini, balza subito in modo molto (forse troppo) evidente la presenza degli sponsor. Da qui, per noi, l’inevitabile domanda: chi sono gli sponsor? Dai nostri confusi trascorsi scolastici ricordiamo che nell’antica Roma vigevano gli “sponsalia”, vero e proprio fidanzamento visto come promessa di matrimonio. Gli sponsalia si effettuavano attraverso la “sponsio”, una sorta di impegno con il quale il padre della sposa prometteva al fidanzato della propria figlia di dargliela in moglie. Questa “promessa di matrimonio” era una forma di precontratto nuziale, impegnava entrambe le parti e faceva scaturire dei diritti e dei doveri, dai quali ci si poteva “liberare” solo per l’eventuale mal costume della donna o per la riconosciuta impotenza dell’uomo. La fonte del diritto era tratta dal verbo latino “spondere”, che significa “promettere-garantire solennemente”. Quindi, la parola “sponsor” significa promettere e garantire una sovvenzione, una elargizione, o comunque una qualsiasi collaborazione, che può essere anche solo di tipo tecnico, nella realizzazione di un avvenimento.

La crescita esponenziale dei partecipanti alle gare podistiche ha dunque anche questa spiegazione: serve da supporto alla crescente richiesta, “garantendo” una base economica (o tecnica) in grado di sostenere le spese occorrenti (quasi sempre rilevanti) alla realizzazione del prodotto finito. Senza questa “garanzia” difficilmente si organizzerebbero gare podistiche, sicuramente non nel numero a cui assistiamo (e a cui partecipiamo). In cambio, come è giusto che sia in una normale logica di mercato, lo sponsor (persona o marchio) riceve una visibilità che in altro modo non otterrebbe: quando si muovono migliaia di persone, non solo sul tracciato di gara…, ma anche nel tessuto sociale in quanto a relazioni e via dicendo, i riflessi e i messaggi che rimbalzano nella società, soprattutto in termini di pubblicità, sono preziosissimi e di comprovata utilità economica.

A questo punto della situazione, è diventata talmente importante la funzione dei volantini che si sono create delle occasioni di lavoro, sia nella distribuzione che nella produzione. Per quanto attiene le gare podistiche, la distribuzione si vede on line e… sul parabrezza dell’automobile; mentre per quanto riguarda la produzione, si registrano soggetti che si sono specializzati nella realizzazione specifica del prodotto in questione. Il volantino dunque, sia esso cartaceo o virtuale, oltreché richiesto, si è fatto assolutamente indispensabile e fa’ parte a pieno titolo dell’attuale “costume” del podista moderno, un suo vero e proprio abbigliamento mentale. La prima cosa che lui chiede all’approssimarsi di una persona o di un avvenimento, è infatti il volantino. E’ vero? Ciò denota e segnala un cambiamento dei tempi, e forse non solo di quelli in cui si vive. Spieghiamoci meglio.

La massiccia introduzione degli sponsor negli avvenimenti podistici ha comportato indubbiamente un aumento considerevole della partecipazione quantitativa, ma non di quella qualitativa. Si ha motivo di ritenere che fino a qualche decennio fa chi si avvicinava alla corsa, parliamo ovviamente di persone adulte, lo faceva perché in un certo senso aveva già operato su di sé una sorta di selezione o di ragionamento: o aveva abbandonato uno sport in precedenza praticato (per sopravvenuti limiti di età), o aveva capito che poteva ottenere certi risultati (arrivare cioè nelle prime posizioni, per una ridotta concorrenza). Il risultato era uno stimolo all’impegno che portava al conseguimento di risultati cronometrici di rilievo; e i trofei (coppe e medaglie) che lo attestavano erano l’orgoglio dell’atleta. Ma con il contributo degli sponsor, e con l’innalzamento dei premi a disposizione di quasi tutti i partecipanti (per i più forti, in denaro), la stragrande maggioranza dei podisti si è per così dire rassegnata alla mera partecipazione e quindi ad una considerazione “cronometrica” abbastanza relativa, se non del tutto marginale; senza trascurare  che la corsa praticata con assiduità fa’ molto bene alla salute fisica e mentale. Paradossalmente, quindi, si è ottenuto l’effetto contrario da quello che i più appassionati si attendevano dalla novità data dalla presenza attiva degli sponsor negli avvenimenti podistici. Ma gli sponsor non sono rimproverabili di alcunché, perché hanno semplicemente fatto quello che dovevano fare, e cioè il commercio della loro attività. Sono gli organizzatori sportivi che avrebbero dovuto essere più attenti alle esigenze dello sport e dei podisti, alle esigenze quelle vere però, non riconducibili certamente alla conquista di un prosciutto o al tagliare un traguardo in un tempo interminabile, purché si arrivi per gridare vittoria. Sono gli organizzatori sportivi a prestare il fianco ai sospetti che vedono nella loro condotta una partecipazione forse non del tutto involontaria ad una certa spartizione dei profitti.

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