L’attaccamento alla maglia. Anzi, al… completino gara

Sempre in tema di cambiamento di squadra, affrontiamo l’aspetto del cambiamento di squadra rapportato al calcio, che nell’immaginario collettivo è lo sport per eccellenza e per questo è spesso considerato, da tutte le analisi che si fanno sullo sport, un punto di riferimento. Come potremmo noi, miseri podisti, sottrarci a questa realtà?

Quando si verifica che un calciatore, oggi come oggi, cambia squadra, sono queste le riflessioni che si fanno:

  1. si vede che aveva litigato con i compagni di squadra;
  2. lo schema di gioco della squadra non era adatto a lui;
  3. voleva andare in una squadra che giocasse in Europa;
  4. lo ha fatto per soldi;
  5. è una faccenda che riguarda il suo procuratore;
  6. cerca nuovi stimoli;
  7. cambio di lavoro e/o residenza;
  8. cambio di partner affettivo.

Analizziamo queste possibilità. Forse, procedendo in questa maniera, senza propendere per nessuna variabile in particolare, arriveremo a capire perché alcuni podisti “sentono il bisogno” di cambiare squadra.

  1. E’ possibile. Anche i podisti sono esseri umani, sia il “transfuga” che i “restanti”. E non è mica detto che questi ultimi abbiano ragione. Bisogna riconoscere che spesso la maggioranza ha torto.
  2. Notoriamente, il podismo è sport individuale. La sua pratica richiede, nello svolgimento dell’attività, solamente l’applicazione personale e soggettiva. La partecipazione alla squadra, per così dire, è solamente morale.

  1. Nel podismo non esistono, almeno come si intende nel calcio, competizioni europee, con gironi, qualificazioni, eccetera.

  1. Possibilissimo! In questo caso, i soldi si devono intendere come possibilità di “sgravio” per la spesa occorrente per praticare il podismo in tutte le sue situazioni (tuta, borsone, iscrizioni-gare, quota annuale di iscrizione alla società, incentivi da regolamenti interni, eccetera).
  2. I procuratori, per fortuna, non esistono nel podismo. Se poi vogliamo equiparare coloro che “procurano” acquisti per alcune società podistiche, cioè presidenti, amici degli amici, e simili, cadiamo nel ridicolo. I procuratori, nel podismo, non esistono; almeno come figura professionale riconosciuta.
  3. E’ possibile. Perché negare questa “aspirazione”, questa “volontà”,

questa “libertà”. Anzi, il podismo insegna proprio questo: ad essere liberi, a non porre barriere fra noi e gli altri, a riconoscersi simile fra simili, ad andare avanti. Diciamo dunque che è possibile;

  1. In casi del genere, chi cambia squadra lo fa’ perché è costretto. E cambia anche la sua vita, portandosi dietro tutto un fardello di ricordi e di emozioni.
  2. Possibile e impossibile allo stesso tempo. Un divorzio, una rottura di fidanzamento, una fine di un rapporto sentimentale in senso lato, sono situazioni ascrivibili alla moderna società. Il podista, che non è avulso dal contesto in cui vive, è forgiato in questi casi e non fatica più di tanto a rapportarsi diversamente con sé stesso e con gli altri. Nella maggioranza dei casi, se non nella totalità dunque, chi dice di volere cambiare squadra per uno di questi motivi, accampa scuse.

Ricapitoliamo. Abbiamo 4 casi possibili (a, d, f, g) e 4 non (b, c, e, h). Adesso concentriamoci sui primi quattro.

A). Nulla da eccepire. Però, esistono… i divorzi consensuali. Cioè, l’intenzione di cambiare squadra va’ comunicata nei tempi e nei modi stabiliti dal grado di civiltà comunemente inteso.

D). Si sente dire, da qualcuno che vuole cambiare squadra: “Sai, c’è la crisi…”. Allora, facciamo un po’ di conti, con la premessa che si pratica il podismo da amatori, da appassionati, come spettatori ad una forma di spettacolo, come programmare una pizza in trattoria, eccetera. Se io volessi praticare un altro sport, che so, il ciclismo, dovrei prima di tutto comprare la bicicletta. Costo medio, mille euro, facciamo 500, va. Ai quali si devono assommare quelli occorrenti per maglia e pantaloncini. E siamo a 600. A questo punto, ci rivolgiamo ad uno sport più economico. Scartiamo subito il nuoto, per l’evidente costo della piscina e dell’abbigliamento che, oltre ad avvicinarsi di molto ai 500 euro (piscina+ costume+occhialini+costo benzina per recarsi sul posto) ci limitata enormemente sul tempo usufruibile (un’ora al massimo), con un rapporto costo-tempo veramente insopportabile. Il calcio, allora? Proviamo anche in questo caso a fare due conti. Un paio di scarpe 100 euro. E fin qua. Ma poi dobbiamo aggiungere il fitto per il campo, la benzina per arrivarci, un minimo di abbigliamento e… soprattutto la briga di trovare tanti compagni di squadra e tanti avversari per formarne un’altra che sia avversaria. Ci passa quasi la voglia, perché diventa veramente difficile far concordare tutti questi elementi. E lo sport scelto, non sarebbe più tanto rilassante, oltreché economico.

Vogliamo considerare una serata in pizzeria? Un 50 euro dobbiamo metterlo in preventivo, mi sembra il minimo. Andare al cinema? Minimo una ventina di euro, tutto compreso.

Invece, per il podismo, con un 10 euro si può, parlando solo di una partecipazione ad una gara:  costo dell’iscrizione+la possibilità di dividere con degli amici la spesa della benzina. C’è la crisi? E allora?

F). E’ possibile, abbiamo detto. Ma non è possibile ridurre la “libertà” con l’ “andare avanti”. Essere liberi significa soprattutto non farsi condizionare dai fattori esterni, da quello che vediamo si verifica intorno a noi, dai cosiddetti “luoghi comuni”. Oggi si pensa che “andare avanti”, o “fare una scelta”, significhi “cambiare”. Ma cambiamento non è sinonimo di miglioramento. Se si vuole cambiare squadra è perché c’è qualcosa che non va’, che qualcosa si è rotto. Quindi, la “F)” è la dimostrazione di uno stato, latente e preoccupante, di ipocrisia.

G). Tutta la nostra umana comprensione. Però, va’ fatto un discorso… chilometrico. Se il cambio di lavoro o di residenza, che quasi sempre va’ di pari passo, comporta uno spostamento di svariate centinaia di chilometri, poniamo tre o quattrocento chilometri, vale a dire un cambio di regione, allora il discorso non si pone proprio. Ma se si resta nell’ambito della stessa regione, a volte perfino nell’ambito della stessa provincia, allora vengono dei sospetti, che si voglia strumentalizzare la circostanza, e che le vere motivazioni vadano ricercate in ben altre situazioni.

In conclusione, siamo d’accordo con chi sente l’appartenenza come a un qualcosa di importante. Solo in qualche grave situazione il rapporto di solidarietà con i compagni può incrinarsi. E ciò comporta in chi lascia una lacerazione profonda, che forse mai avrà a cicatrizzarsi. Altro che dire, col sorriso sulla labbra, come se fosse niente: “Sai? Cambio squadra.”

A riprova di quanto si sostiene, una considerazione non banale, anche in considerazione del fatto che siamo partiti con il paragone con il calcio.

Tutti abbiamo una grande considerazione, anche se non ne siamo tifosi, di calciatori come Del Piero, Maldini, Totti, Baresi, Zanetti…, perché?

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