Solo il nome lascia un po’ a desiderare: il cachi…

Ricordo che fin da quando ero bambino la fine della bella stagione, quella delle vacanze, del mare e del tempo libero, mi lasciava sempre un alone di tristezza che però era mitigata dalla certezza che avrei riassaporato un’altra volta un frutto molto saporito, a me particolarmente gradito per la sua succulenta dolcezza: il cachi. E ancora adesso, nel riprendere il ritmo abituale per sbrigare le solite cose che la vita sociale ed affettiva mi riserva, dentro di me… “pregusto” l’ormai prossimo assaggio.

Il cachi è una pianta di origine orientale, chiamata dai greci quando la conobbero “grano di Zeus”. Ma la sua vera diffusione, in America e in Europa, si ebbe a metà del 19° secolo. In Italia, la produzione di cachi, inizialmente, fu considerevole soprattutto nel salernitano (agro nocerino), per poi espandersi anche in Emilia Romagna. Ha importanti caratteristiche nutrizionali:

Per ogni 100 grammi di prodotto

  • acqua 80 %
  • fibre 2,5 %
  • fosforo 20 mg
  • grassi 0,3 %
  • potassio 170 mg
  • proteine 0,6 %
  • vitamina C
  • zuccheri 18 %
  • (beta-carotene, precursore della Vitamina A)

 Il cachi acerbo è “micidiale”, quindi immangiabile, a causa della presenza di “tannini”; mangiarne e averne “la bocca legata”… è caratteristica peculiare dei tannini (ecco anche perché i tannini sono ottimi “astringenti”…). Comunque, il cachi risulta essere un ottimo rimedio naturale contro la stanchezza e lo stress.

Qualche curiosità legata al cachi. In generale, nel mondo, è chiamato “l’albero della pace”, perché alcuni alberi di cachi sopravvissero alla tremenda esplosione atomica di Nagasaki, nel 1945. Mentre a Napoli, il cachi, nella sua versione più dura, è chiamato “legna santa”, poiché una volta aperto, al suo interno, sembra di vedere un’immagine di Cristo in croce.

Lo sapevate?

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