Storia del record mondiale della maratona… di muro in muro!

In principio fu Dorando Pietri, o meglio, Jonny Hayes, che a Londra (1908), alle Olimpiadi, chiuse la maratona in 2h 55’ e 18”. Ma chi se lo ricorda? Tutti invece hanno bene impressa nella mente l’immagine di Dorando Pietri che arriva allo stadio con un netto anticipo rispetto agli avversari ma che, stremato dalla fatica, non ha la lucidità necessaria per imboccare il giusto senso per andare al traguardo. Cade anche, e i giudici lo aiutano a rialzarsi, sostenendolo per i 100 metri finali. Farà segnare il tempo di 2h 54’ e 45”, però sarà (giustamente) squalificato. Le Olimpiadi moderne volute dal barone De Coubertin avevano trovato nella maratona la gara più bella e avvincente dell’Atletica Leggera.

Da quel momento, si scatenò la lotta ad abbattere il cosiddetto “muro” della maratona, consistente nel limite appena conquistato, ma che andava superato, per dimostrare fin dove si possa spingere l’uomo alla ricerca delle proprie possibilità. Questa, ben inteso, è una cosa che si verifica in tutte le gare, ma nella maratona, proprio per l’immagine particolare di Dorando Pietri, è passata nell’immaginario collettivo di tutti i podisti come l’obiettivo a cui tendere per un’intera vita di passione e di sacrifici. Infine, chi stabilisce cosa sia un muro? Quanti sono i minuti che determinano l’esistenza di un muro? Non si sa, esattamente. Però, esistono due criteri: uno è l’abbattimento puro e semplice del limite appena stabilito; l’altro va’, tendenzialmente, per ogni quarto a scalare (30, 25, 20, eccetera).

Andiamo quindi, di muro in muro, a ripercorrere la strada del record mondiale di maratona. Si comincia, come abbiamo visto, dalle 2h 55’ 18 di Jonny Hayes, a Londra, nel 1908. Subito si apre la caccia ad un tempo (e ad un muro) che si reputa stratosferico e forse non raggiungibile: 2h e 15’. Si era trascurato il muro delle 2h e 30’, a causa di qualche difformità riscontrata in qualche maratona: più corta, più lunga, cose di questo tipo. Di rilievo è doveroso citare il record comunque riconosciuto alle Olimpiadi di Anversa (1920) al finnico Hannes Kolehmainen, di 2h 32’35. Mentre in Italia, nel 1914, a Legnano, Umberto Blasi aveva corso la maratona in 2h e 38’: un bel tempo.

Il muro delle 2h e 15’ non è abbattuto, bensì raggiunto da un altro mitico personaggio della maratona: l’etiope Abebe Bikila che a Roma, durante delle Olimpiadi del 1960, corse la maratona (tra l’altro a piedi nudi…) nell’incredibile tempo di 2h 15’16! Quattro anni dopo, alle Olimpiadi di Tokyo, Bikila scese a 2h 12’12, dimostrando che già a Roma poteva abbattere il muro. Però, a questo punto, di muro, se n’era creato un altro: 2h e 10’. Chi lo abbatté? Fu un australiano, tale Derek Clayton, a Fukuoka (Giappone), nel 1967: 2h 09’36.

Ora, avrete capito, la nostra attenzione si concentra su altri due muri: 2h e 5’ e l’ultimo record stabilito. Però, prima un giusto riconoscimento a chi ha stabilito in progressione l’avvicinamento a questo muro. Ragazzi, parliamo di gente che ha corso la maratona dalle 2h e 8’ alle 2h e 6’. Ma vi rendete conto? Sono l’australiano Robert De Castella (Fukuoka, 1981, 2h 08’18), il portoghese Carlos Lopez (Rotterdam,1985, 2h 07’12), l’etiope Belayenen Dinsamo (Rotterdam, 1988, 2h 06’ 50) e il marocchino Khalid Khannouchi (Chicago, 1999, 2h 05’42).

Colui il quale frantumò il muro delle 2h e 5’ fu il keniano (o keniota che dir si voglia) Paul Tergat, che alla maratona di Berlino, nel 2003 stabilì il tempo di 2h 04’55. Francamente, molti pensarono che si fosse raggiunto l’estremo limite (compreso chi scrive), eppure questo strabiliante risultato è già stato per ben tre volte migliorato. Il primo a riuscirci fu l’etiope Haile Gebrselassie, che , sempre a Berlino, nel 2008, corse in 2h 03’59. E sempre a Berlino, città magica dunque per la maratona, un altro keniano, nel 2014, Dennis Kipruto Kimetto, finì la maratona in 2h 02’57! Infine, l’ennesimo keniano, Eliud Kipchoge, a Berlino, nel 2018, scende a 2h 1’ 39”. Vien quasi la voglia di gridare: “Non ci voglio credere!”

Non meno appassionante è la stessa “lettura” del record della maratona, però al femminile. Anche qui, di muro in muro, siamo andati a riper… “correre” l’argomento:

Londra, 1926, Violet Piercy (Regno Unito), 3h 40’22;

Auckland, 1964, Dale Greig (Nuova Zelanda), 3h 27’45;

Waldneil, 1967, Anni Pede-Erakamp (Germania Ovest), 3h 07’27;

New York, 1971, Elisabeth Bonner (USA), 2h 55’22;

New York, 1979, Grete Waitz (Norvegia), 2h 27’32;

Boston, 1983, Joan Benoit (USA), 2h 22’43;

Berlino, 2001, Naoko Takahashi (Giappone), 2h 19’46;

Londra, 2003, Paula Radcliffe (Regno Unito), 2h 15’25;

Chicago, 2019, Brigid Kosgei, (Kenia), 2h 14’ 04”!

Anche in questo caso, ci viene da gridare, con fare trasecolato: “Non ci voglio credere!”. Ma    forse è questa la lezione che apprendiamo dalla storia del record mondiale sulla maratona, sia al maschile che al femminile: i limiti dell’uomo sono ancora in gran parte inesplorati.

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