Intervista (impossibile) a Primo Nebiolo

Negli ultimi anni, ormai ne contiamo quasi venti, l’Atletica italiana sembra sparita dai podi delle competizioni internazionali. Ne siamo rattristati e cerchiamo di comprendere i motivi che hanno spinto così in basso il nostro movimento. Lamentiamo da sempre una cronica mancanza di adeguati finanziamenti della politica del nostro paese nel settore scolastico e nella federazione, per tentare di far risalire il livello qualitativo della nostra Atletica; ma non è che al fondo della chiamiamola problematica c’è una carenza dirigenziale? Intervistiamo perciò Primo Nebiolo, al quale giriamo la domanda.

Lei che è stato presidente della FIDAL, dal 1969 al 1989, nonché presidente della IAAF, il massimo organismo internazionale di Atletica Leggera, può senz’altro rispondere al quesito che negli anni ci arrovella: la crisi dell’Atletica italiana è forse dovuta in principal modo a una dirigenza inadeguata?

E’ un discorso un po’ lungo… Innanzitutto, sono cambiati i tempi. Le spiego. Quando mi trovai ad operare come dirigente nel mondo dell’Atletica Leggera, almeno in Italia, c’era una situazione completamente diversa da quella attuale, in un certo senso, più favorevole per intraprendere certe iniziative. Gli effetti della ripresa economica del dopoguerra si stavano ormai concludendo e lasciavano un paese contrassegnato da diverse ambiguità sociali e da una decisa voglia di  cambiamento. Comunque, esistevano delle abitudini consolidate, dei costumi, che relegavano l’Atletica nel limbo di una situazione subalterna ai cosiddetti sport nazionali, quali il calcio e il ciclismo soprattutto. Fino a quegli anni, l’Atletica aveva fatto leva sul fiorire di campioni sparsi sul territorio nazionale, ai quali la federazione cercava di dare il massimo supporto possibile, e sulle squadre militari. Pensai che fosse giunto il momento di lanciarsi in quello che mi parve un”regime di concorrenza economica”: se la FIDAL non si metteva in mostra, se non osava rompere certi schemi consolidati, se non avesse messo in cantiere iniziative coraggiose, anche nuove, non poteva sperare di superare la “nicchia” nella quale l’avevano relegata.

Sta dicendo che, resosi conto della situazione, ed essendo, ci scusi, ambizioso, ha cercato nuove vie per arrivare a crearsi uno spazio…

Erano i tempi in cui bisogna essere “concorrenziali”. Tutte le organizzazioni sociali, quindi anche quelle sportive, dovevano muoversi in quest’ottica. Mi adoperai, ma direi tutta la federazione, affinché l’Atletica s’impegnasse a crescere, a diventare un’esigenza dei cittadini e degli sportivi. Non a caso l’iniziativa dei “Giochi della Gioventù”, che tanti frutti produsse, era la conseguenza di questa nuova mentalità che andava maturando nelle coscienze e nelle strutture civili.

In effetti, si fa’ fatica ad elencare tutti i nomi dei campioni italiani dell’epoca: “non solo Mennea”, verrebbe voglia di dire…

Sì, è così… Quando ripenso alla miriade di campioni che hanno calcato le piste di tutto il mondo, mi viene quasi da pensare che sto sognando… Cito a caso: Cova, Antibo, Mei, Sara Simeoni, Gabriella Dorio, Arese, Scartezzini, Lambruschini, Panetta, Bordin, Pizzolato, Fiasconaro…, e ne dimentico tanti…

Clamorose certe sue decisioni, o per meglio dire, organizzazioni. Ne vogliamo ricordare qualcuna? Ad esempio, il primato del mondo di Mennea e il Golden Gala.

Avevo dato un grosso impulso alle Universiadi, cioè a una competizione mondiale che impegnasse atleti universitari. Era anche un modo di poter finanziare un’impresa in cui non tutti credevano: fornire un’ottima occasione, ufficiale e di prestigio, a Pietro Mennea di battere il record mondiale dei 200 metri. A Città del Messico, quel giorno, vinse tutta l’Atletica Leggera italiana. E sono molto contento che dopo tanti anni, quel record sia ancora quello europeo. Cioè, siamo ancora nella storia. L’altro episodio, scaturì dal boicottaggio alle Olimpiadi di Mosca, alle quali si registrarono parecchie “forzate” assenze. Pensai di fornire un’occasione di pacificazione universale nel nome dello sport: Golden Gala a Roma, oltre 200 atleti partecipanti, 21 nazioni e ben 160.000 spettatori (anche questo un vero e proprio record…).

Qualcuno adombrò l’ombra del sospetto doping su questi successi…

Avevo messo in preventivo questo genere di rischio. Quando si muovono molte persone e svariate risorse economiche, viene fuori una specie di carrozzone che qualche volta è difficile da controllare in tutti i suoi meandri. Vorrei ricordare un episodio al riguardo. Quando la polemica sul doping si fece veramente asfissiante, tanto che tutti, proprio tutti, mi ponevano sempre davanti questa faccenda, risposi forse un po’ seccato all’ennesima domanda di una giornalista: “Signorina, sono stanco di parlare di pipì.” Ecco, questa era la situazione. E’ possibile che qualche persona, anche di una certa responsabilità, magari facente parte di una qualche branca federale, o per piaggeria, o per altro, abbia “operato” per il conseguimento di certi risultati. Ma è incredibile pensare che io abbia favorito, o perfino incoraggiato, queste situazioni, che comunque sono state sempre circoscritte in ristretti ed episodici ambiti. D’altronde, è sempre successo così: quando un campione stravince, o una squadra fa’ altrettanto, si insinua la diceria che si possa aver fatto uso di sostanze vietate. E che alcune volte sia stata provata la veridicità dell’accusa non significa affatto che lo sport in generale vada soggetto a questa regola e che nel caso specifico l’Atletica italiana ne sia stata interessata.

La cosa si acuì con l’episodio del lunghista Evangelisti…

Sì, forse ero da troppo tempo in sella… Ricordo il buon Giovanni Evangelisti, ignaro e con gli occhi lucidi… Non si dovrebbe mai offendere la dignità di un campione, ed Evangelisti lo era a tutti gli effetti, manovrando alle sue spalle… I Mondiali di Roma nel 1987 sono passati alla storia per questo episodio, che riguarda la mia persona e non lo sport in senso stretto e nobile come l’ho sempre inteso io, atleta praticante fin da giovanissimo, nonostante le difficoltà della guerra e di una povertà morale e materiale di cui oggi non si ha nemmeno la più labile percezione.

A proposito di “percepire”, ci sembra d’intuire un suo non troppo velato pessimismo circa il futuro dell’Atletica Leggera italiana.  

Non solo futuro, purtroppo, anche presente. Non vedo “attenzione” verso l’Atletica Leggera in Italia, cioè quella progettualità del tipo “I Giochi della Gioventù” che ho appena ricordato. C’è poco da fare, bisogna cominciare dalla Scuola, fin dai primissimi anni, con investimenti adeguati. La politica deve farsi carico di questa esigenza, che è personale, ma anche collettiva. Dirò di più. Con l’accresciuta consapevolezza, soprattutto per merito dei podisti amatori, che la pratica sportiva aiuta l’individuo e la società, lo Stato dovrebbe mettere fra i primi posti del bilancio proprio l’Atletica Leggera. Altro che storie…

Grazie, presidente, per questa “istruttiva” intervista.

 

 

 

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