La battaglia di Maratona

Non c’è podista che non consideri in cuor suo di correre una maratona. Correre una maratona è, per il podista, come l’attestazione ufficiale dell’appartenenza ad una categoria speciale di sportivi e conseguire, pertanto, la qualifica di maratoneta. Ma forse non tutti i maratoneti conoscono i vari dettagli storici e culturali che stanno alla base di questo vero e proprio mito dei giorni nostri. Ora noi, con l’umiltà e l’amore per il podismo che sempre caratterizza il nostro operato, cercheremo di colmare questa piccola lacuna.

La vicenda ebbe inizio nel 490 a. C., il 12 settembre, stando alle più autorevoli fonti storiche, allorché si scontrano nella piana di Maratona, distante circa 40 km da Atene, due eserciti: quello relativo al potente impero persiano di Dario, capitanato da Artaferne, e quello della lega delle polis greche, comandato da Milziade. La guerra si era resa necessaria, perché le polis greche, primo esempio nella storia occidentale di democrazia, si erano ribellate ai dazi che imponeva loro il potente impero orientale persiano, tanto grande e potente che si estendeva dall’India alla Grecia. La guerra apparve subito ai contemporanei come lo scontro fondamentale che opponeva due diverse civiltà e l’esito finale avrebbe causato la fine o il proseguimento di quella occidentale.

La battaglia si svolse nella pianura di Maratona (che in greco significa “finocchio”, perché evidentemente era quello il tipo di coltura ivi prevalente), dato che il territorio greco è quasi del tutto collinoso e gli scontri bellici, notoriamente, si svolgono sempre in territorio pianeggiante (il cosiddetto “campo di battaglia”). Le forze in campo erano in netta maggioranza persiana, circa 10.000 greci contro i probabili 40.000 persiani. Gli ateniesi erano consapevoli della loro inferiorità numerica e così cercarono di adottare una tattica, per quei tempi rivoluzionaria, basata sulla… corsa! Erodoto, lo storico antico più famoso, nelle sue “Storie”, così racconta:

“… E quando a loro furono assegnate le postazioni e i sacrifici risultavano di buon auspicio, allora gli Ateniesi, quando furono lasciati liberi (di attaccare), si lanciarono di corsa contro i barbari; e la distanza tra loro era non meno di otto stadi (circa 1.500 m). E i Persiani vedendo che sopraggiungevano di corsa si preparavano per affrontarli, ed attribuivano agli Ateniesi follia…”

 

In realtà, l’abile stratega Milziade aveva pensato di “sfondare” al centro l’esercito persiano, facendolo ritenere di aver facile gioco nello scontro, mentre le ali dell’esercito greco lo stringeva in una morsa, come una tenaglia. La velocità, nonché il coraggio, della tattica greca scombussolò e sorprese i persiani, che furono costretti alla ritirata. Così i persiani, sempre… di corsa!, per mettersi in salvo, cercarono di raggiungere le loro navi.

La notizia dell’incredibile vittoria, com’è noto, venne portata agli ateniesi rinchiusi in città dall’emerodromo Filippide che, sfiancato dallo sforzo, vi morì appena dato l’annuncio. Noi, però, non dobbiamo considerare Filippide con amorevole sussiego pensando che, poverino, morì perché non era “preparato a dovere” per correre 40 km. Gli emerodromi, i messaggeri di una volta, correvano anche 200 km in un solo giorno, su percorsi collinari e senza “abbigliamento tecnico”. Inoltre, il nostro buon Filippide, nella battaglia di Maratona, come abbiamo cercato di dimostrare, “corse” per “gli 8 stadi” (1.500 m), combattè (sprecando energie…) per chissà quanto tempo (si suppone per almeno mezzora), “rincorse” poi i persiani in fuga fino alle loro navi (almeno 3 km…) e infine, dopo quello che potremmo definire un “recupero” certamente di pochissimi minuti, ebbe l’incarico di portare la notizia della vittoria in città.

In effetti, se stiamo oggi a parlarne, lo dobbiamo alla battaglia di Maratona. E questo è quanto.

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