Paolo Imperato: ‘o ciuccio ‘e Fichella

Conoscete Paolo Imperato? Ve lo presentiamo subito: è… ‘o ciuccio ‘e Fichella. Sapete perché è stato così denominato dagli amici coi quali si allena? La domanda è pleonastica, per i podisti campani, un po’ più impegnativa per quelli che invece risiedono, come si diceva una volta “oltre il Volturno”. Per costoro, che speriamo siano abbastanza numerosi, c’impegniamo in una rapida, ma non per questo superficiale, spiegazione.

Per prima cosa, cominciamo dalla traduzione, non solo per andare incontro alle… “esigenze linguistiche” di chi campano non è, ma anche per chiarire agli autoctoni qualche aspetto spesso trascurato della loro lingua d’origine, perché usata solo nel parlato e non nello scritto, causa principale della sua decadenza. ‘O ciuccio ‘e Fichella significa, letteralmente, “l’asino di Fichella”. A dire il vero e a dirla tutta, il noto detto continua così: “… trentatré chiaje e ‘a cora fraceca”, e cioè “… trentatré piaghe e la coda fardicia.”

Ma chi era costui, Fichella, un uomo, una donna, un proprietario di equini, o cos’altro? Fonti storiche non del tutto documentate assicurano che il soprannome venne affibiato, in tono bonario fra lo scherzoso e l’allusivo, ad un omino, tale Ascione Domenico, probabilmente originario di Torre del Greco. Solo per inciso, facciamo notare che… l’attore principale del nostro spettacolo…, l’amico affezionatissimo Paolo Imperato, al quale vogliamo tutti un mondo di bene, “svolge la sua opera” in quel di Ercolano, Comune vicinissimo a quello di Torre del Greco, territorio nel quale egli spesso “sconfina” a causa dei percorsi dei suoi allenamenti. Ma torniamo a Fichella. Pare che questi si guadagnasse da vivere, utilizzando un vecchio asino per un particolare  servizio di trasporto di vettovaglie. I più precisi dicono che era “nu sapunaro”, i quali hanno anche investigato sul soprannome stesso: perché “Fichella”? Questione in verità alquanto facile da risolvere. La “fica” altri non è che il frutto dell’albero del fico… e non quella cosa a cui ci si riferisce quando si vuole dare sfogo ad una certa incontrollata e simpatica volgarità.

A questo punto, la spiegazione deve procedere storicamente. Ebbene, quando fu fondata la società calcistica del Napoli, addì 1926, venne scelto come simbolo della squadra il cavallo rampante, come lo stemma dei Borbone, di cui uno dei massimi dirigenti era discendente, a quanto pare. Sta di fatto, giusto per riferire un po’ di cronaca, che delle 17 partite disputate nel campionato di calcio, la squadra collezionò 16 sconfitte e un pareggio. Ora, non si sa bene chi, quando, in quale occasione (se dagli spalti, o nei corridoi della dirigenza) fu pronunciata la fatidica frase: Ma quale cavallo, chisto pare ‘o ciuccio e Fichella!”

Direte voi: “E che c’entra questo con Paolo Imperato?”

C’entra…, c’entra…, perché da quando corre, Paolo Imperato, non fa’ altro che lamentare qualche malanno, proprio come… “l’asino di Fichella” e le sue proverbiali… “trentatré chiaje”…

E per finire, qualcuno dei suoi amici “s’interroga” sulla sua… “coda fraceca”: sarà poi vero…?

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