La mente non si stanca

Quando sentiamo dire di qualcuno che “predica bene e razzola male”, pensiamo subito a un prete, oppure a un ipocrita in senso lato; quasi mai pensiamo si possa trattare di un podista. Eppure, di podisti che parlano bene, ma corrono male ce ne sono a bizzeffe. Come mai questa “epidemia” è tanto diffusa? Indaghiamo…

Nel nostro corpo è sempre problematico mettere insieme la pratica con la teoria, ergo, la causa principale degli infortuni dipende dalla “mente”, intesa come “intelligenza” (azione dell’intelletto) e non come “volontà” (azione del piacere).

Sotto questo aspetto, la nostra mente ha inevitabilmente già immagazzinato e accumulato un certo passato, negli anni di piacevole pratica podistica. Resta così dentro di noi, “ben visibile”, il passato sotto forma di “ricordi” e di “rimpianti”; i primi, sono quelle cose che abbiamo fatto e al cui pensiero il nostro cuore ancora si “gonfia” di soddisfazione; i secondi, invece, sono quelle cose che avremmo potuto fare, ma che non siamo riusciti a realizzare e per la qual cosa, al solo pensarci, il nostro cuore si “gonfia”, sì, ma di tristezza e di rammarico.

Allora, in un colpo di “volontà”, paragonabile  a un colpo di coda, noi raccogliamo tutte le nostre forze, perché vogliamo credere che ancora si possa fare quella cosa, ancora si possa correre ad un certo ritmo quella ben determinata distanza. La “volontà”, intesa come azione volta alla ricerca del piacere, prende il sopravvento sulla “mente”, facendo venir meno l’azione pratica e regolatrice dell’intelletto, del raziocinio.

E in tutto questo “la mente non si stanca”. Non esistono “carichi di lavoro, “lunghi”, “ripetute”, “stress agonistici vari”, eccetera eccetera, cioè… motivi di infortuni. In questa particolare e comunissima condizione non si producono “strappi”, “contusioni”, “contratture”, “sciatalgie”, “fasciti plantari”, “tendiniti” e tante altre diavolerie… Detto in altri termini, se l’infortunio è la diretta conseguenza di un eccesso di corsa, di stanchezza, naturalmente riferibile a un dato fisico al nostro corpo, per la nostra mente, che non si stanca mai, questo pericolo non esiste. La mente, non rispondendo strettamente alle leggi fisiche, non conosce la stanchezza propriamente detta, per cui è sempre pronta a mettersi in gioco, a tentare quello che invece dovrebbe apparire quasi impossibile da realizzare. Anzi, per una sorta di beffa della natura, più il corpo sente la fatica, più la mente aumenta la sua voglia di superare la condizione di difficoltà, autoconvincendosi che la capacità di sofferenza è l’essenza stessa della vita e della felicità.

Bisognerebbe, quindi, curarsi e guardarsi non tanto dai “rimpianti”, quanto dalla “volontà” che li produce. E come si fa’? Spegnere quella piacevole sensazione che ci ha regalato anni di gioia, non è facile. E forse neanche giusto!

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