Non ci sono più le scarpe di una volta…

Vi ricordate le scarpe A0, A1, A2, eccetera? Ebbene, scordatevele…

Negli ultimi tempi, le case produttrici di scarpe da running, sempre alla ricerca di nuove soluzioni tecniche, sia per andare incontro alle esigenze dei podisti che per introitare maggiori profitti, hanno elaborate nuove tecnologie (riservate, per motivi industriali) in grado di rivoluzionare le canoniche categorie delle scarpe podistiche. In fondo, è un processo che parte da molto lontano, da quando la scarpa era quella “da tennis”, o “da ginnastica”, per poi passare alle “leggere”, alle “intermedie” e alle “ammortizzanti”, per arrivare infine alle classiche categorie, quelle che vanno da A0, “minimaliste”, fino alle A8, “specialistiche” (chiodate e trail).

Ma, in concreto, cosa ha incentivato questo processo evolutivo della scarpa? Facciamo qualche esempio… La grandissima richiesta di scarpe da running, in proporzione, è venuta da una nutrita platea di podisti, soprattutto amatori, di età non giovanissima e per tale motivo un po’ sovrappesi. La richiesta per tanto si è concentrata sulle A3, calzature ammortizzanti quindi, ma con una leggerezza e una reattività elastica della falcata diciamo difficoltosa. Inoltre, la principale caratteristica di tale tipo di scarpa, oltre al,peso di circa 330 grammi, è quella di avere un supporto alla suola all’altezza della conchiglia di almeno un 3 cm, spessore notevole che induce il podista ad appoggiare di tallone e non di avampiede, col risultato di causare danni alle articolazioni e alla velocità del ritmo di corsa. Stando così le cose, quando si vuole correre più velocemente, in allenamento o in gara, si opta per una A2, più leggera, che al limite sfiora ma non supera i 300 grammi, e con il suddetto supporto all’altezza del tallone “solo” di un paio di cm.

Quindi, le case produttrici hanno raccolto l’esigenza della maggioranza dei podisti, quella cioè di poter coniugare, con una scarpa, la reattività con l’ammortizzazione. Così hanno ottenuto, grazie a tecnologie custodite con naturale riserbo, una scarpa neutra al cui interno si trova una sorta di autocorrezione graduale (cushion) in relazione al podista, se pronatore o supinatore.

La tendenza è in atto da qualche anno, tanto che si possono già individuare le nuove categorie con le quali i podisti, e i rivenditori, dovranno riferirsi. Al posto delle classiche A0, A1, A2, eccetera, ci troveremo di fronte alle “protettive”, alle “performanti” e alle “essenziali”, termini ancora in via di consolidamento, per così dire, ma che a parte qualche lieve oscillazione terminologica, entreranno a far parte del vocabolario podistico.

C’è bisogno però di qualche ulteriore specificazione. La scarpa “protettiva”  corrisponde al classico esempio che abbiamo riportato. E’ un mix di A2 e A3, cioè è una scarpa al cui interno, nell’intersuola, possiede una tecnologia che si adatta ai canoni standard dell’appoggio neutro e al piede del podista, garantendogli sia reattività che ammortizzazione. A vederla non si saprebbe definirla se A2 o A3, perché la suola è rialzata e lo sperone alla conchiglia prosegue e s’incurva in alto, allontanandosi dal suolo. Ciò fa’ si che l’appoggio, inevitabilmente, non cada sul tallone bensì sull’avampiede. La scarpa “performante” si rivolge a podisti di vario livello (e di vario peso) che però non rinunciano a qualche obiettivo in particolare che solo una tipologia di scarpa specifica può garantire. Infine, la scarpa “essenziale” è quella che si avvicina al drop massimale, cioè zero. E’ la calzatura, difficile da praticare, tipica dei primi uomini, di quando si correva praticamente con una suola a sandalo, se non con piedi completamente scalzi. In tempi moderni, questo tipo di corsa è chiamato “barefoot”, e ogni tanto qualche podista cerca di riproporlo.

Insomma, non ci sono più le scarpe di una volta….

 

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