Ascoltiamo il nostro corpo

Una volta fu chiesto all’anziano ma vivace Bertrand Russell, eminente matematico e filosofo, quale fosse il segreto della sua brillante longevità. Rispose: “Mangio quando ho fame, bevo quando ho sete, dormo quando ho sonno”. Questa che vorremmo definire “perla di saggezza”, che può senz’altro valere anche per il podista, ci induce a ritenere che dobbiamo ascoltare il nostro corpo. Certo, la regola è generale, e il podista deve interrogarsi non solo sul “quando”, ma anche sul “come” e sul “quanto”, si mangia, si beve e si dorme. Approfondiamo un poco l’argomento.

Innanzitutto, non facciamo i difficili. Non dobbiamo maturare le nostre conoscenze come se leggessimo, ad esempio, un manuale di anatomia. Se trattassimo la tosse come “quell’energica contrazione inspiratoria, cui segue una rapida ispirazione, con chiusura della rima glottidea, seguita da una riapertura della stessa con genesi di una vibrazione sonora…”, saremmo al di là delle nostre pratiche situazioni. Dovremmo, in tutti i casi di segnalazione che ci arrivano dal nostro corpo, avere la disposizione mentale di affrontare l’episodio con il semplice buon senso. La tosse, per noi, sarebbe quel fastidio che ci impedisce una respirazione regolare, fastidio dovuto forse ad un principio di raffreddamento, o ad un… moscerino che ci è entrato in gola all’improvviso.

Non facciamo i difficili, dunque. Trattiamo i segnali che ci lancia il nostro corpo con la giusta e naturale attenzione, sia durante lo svolgimento della nostra normale giornata che durante l’allenamento podistico. Nel primo caso, episodi come sbadigli, singhiozzi o starnuti passeranno giustamente come avvertimenti che si ha sonno, opportunità di bere dell’acqua, o di soffiarsi il naso. Nel secondo caso, invece, noi che siamo podisti vogliosi di non trascurare certi segnali, nell’ambito di un allenamento svolto con serietà, è meglio riflettere un po’ su queste situazioni.

Distingueremo fra “segnali di corpo” e “segnali di mente”, pur sapendo che tutto parte dal cervello. Nei “segnali di corpo” sono da ascriversi quelli riguardanti il fiato grosso e i vari dolorini che a volte affiorano in più parti. In questi casi basta rallentare, o nel caso non passino con la corsa, interrompere l’allenamento per poi indagare sulle origini del fastidio. Da notare che il nostro corpo ci… tratta sempre bene: non ci porta all’infortunio in maniera diretta, ma ci… avverte sempre, col dolorino.

Diversi e più importanti sono i segnali di mente. L’elenco è lungo:

  • Mancanza di sonno (eccessiva stanchezza e nervosismo alla sua base);
  • Ansia da prestazione (paura di non essere in grado di ripetere i tempi conseguiti negli allenamenti, paura del confronto con altri atleti, paura della competizione in sé);
  • Inappetenza (timore di ingrassare, stanchezza);
  • Scarsa voglia di allenarsi (diminuita capacità di sofferenza);
  • Limitata motivazione (come sopra).

Cosa fare in questi casi? Cosa significa ascoltare il nostro corpo?

Nel caso del fiato grosso, basta semplicemente rallentare. Non serve munirsi di garmin super specializzati che, tra l’altro, ad osservarli di continuo, si rischia di rendere meno fluida e naturale la corsa. In quello del “dolorino a…”, bisogna distinguere caso per caso. Intanto, se non va’ via con l’allenamento, il che per fortuna avviene molto spesso, è meglio interrompere la corsa e investigare sulle possibili cause. Sempre se il fastidio non scompare con il riposo. Molte volte è proprio la mancanza di riposo che favorisce l’esplodere di un sintomo. Può essere un problema muscolare, osseo o tendineo, di qua non si… scappa! Ortopedici, fisioterapisti, posturologhi e… compagnia bella, esistono per questo.

In tutti gli altri casi, che abbiamo definito “mentali”, il ruolo della mente, della condizione psichica, è di notevole importanza, perché determina lo stato effettivo del podista. A vederlo, il podista, sembra essere sempre lo stesso, mentre in realtà la “molla interna” si è come allentata. L’atleta si è allenato, sì, ma forse troppo. La tensione interna che ha cumulato, nei muscoli, nelle ossa, nei tendini, unita all’intensità degli allenamenti effettuati, ne ha determinato un logorio che si traduce in apatia, a volte labile, ma altre volte palpabile. In lui non c’è più quella voglia di aggredire il gesto, la distanza, l’avversario, il tempo. Non c’è più quel desiderio di sentire la fatica, lo sforzo e la soddisfazione di sostenerla. Gli viene da pensare “ma chi me lo fa fare…”, oppure “… che me ne importa…”.

Anche in questo caso, il riposo. Ma poi, il neurologo? No di certo! Non esageriamo. Nei casi estremi, il riposo. Ma in tutti quanti gli altri, che è la stragrande maggioranza dei casi, una riduzione dei carichi di allenamenti, una più accentuata varietà degli stessi, un cambiamento di specialità, un cambio di allenatore, di amici di corsa, di orario, di alimentazione. In definitiva, insomma, si deve fare un “riposo intelligente”. Non si riposò perfino Dio, dopo il sesto giorno?

In definitiva, non si deve esagerare. Soprattutto, quando il tempo di recupero fra le ripetute ci sembra pochissimo, quando all’approssimarsi di un “lavoro” avvertiamo una specie di disagio, quando non sentiamo in noi stessi la gioia di calzare le scarpette, quando ci apprestiamo ad allenarci come ad un dovere, non come una dolce abitudine, allora è arrivato il momento di ricordare il titolo (e il contenuto) di questo piccolo articolo: “Ascoltiamo il nostro corpo”.

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