La gara come allenamento (anche dopo il “coronavirus”)

Ribadito il vecchio e sempre valido aforisma “la gara è il miglior allenamento”, precisiamo subito che in questa sede vogliamo invece occuparci di quando il podista, per svariate ragioni, si trova nella condizione di partecipare ad una gara, pur senza averne… maturato i presupposti necessari…, che non sia cioè nella condizione ottimale in cui di solito si trova.

La precaria condizione di forma al momento della partenza della gara, per il podista abitudinario, è quasi sempre la conseguenza di una ripresa dopo un infortunio, o di un forzato periodo di stop dovuto magari a incombenze di ordine familiare che gli hanno impedito un buon numero di allenamenti. Per non parlare poi del “coronavirus”…, periodo in cui sono letteralmente saltate in aria le abitudini e le caratteristiche del podista… Comunque sia, il podista dovrà valutare attentamente le proprie effettive condizioni e segnatamente se i giorni di riposo forzato abbiano o meno superato i 15 giorni, o se invece lo stop si è risolto nel ristretto ambito di una settimana. In quest’ultimo caso…, nulla tange, o quasi. Anzi, potrebbe perfino verificarsi l’incredibile situazione in cui il podista possa sentirsi “riposato” e in un certo qual modo “rinfrancato”, per cui giungere al traguardo in un tempo assai prossimo al suo personal best. Sì, perché in un breve arco di tempo corrispondente  a pochi giorni di fermo, il corpo non perde quasi del tutto le capacità acquisite in mesi e mesi (a volte anni) di corse; e può trarre giovamento, anche se in maniera involontaria, da un riposo assolutamente rigenerante.

Soffermiamoci dunque sul caso di un lungo e forzato periodo di stop, che comunque è terminato, e sulla volontà di riprendere a correre. Svolti tre o quattro allenamenti, ci si iscrive a una gara per tornare nell’ambiente, inteso non soltanto come i tanti amici che fanno parte del movimento, ma anche come forti sensazioni che soltanto una gara può trasmettere: quella volontà di continuare a correre nonostante la fatica e l’affanno, quella voglia di dare il massimo delle proprie possibilità del momento, quella volontà di sottacere il desiderio di giungere al traguardo… In altre parole, il podista è lì, alla partenza, pieno di adrenalina…, che deve fare? Innanzitutto, egli ha scelto di iscriversi ad una 10 km, non di certo ad una gara più lunga, poiché non può avere sicurezza della sua tenuta; anzi, se c’è una sicurezza, questa è quella che non ha nelle gambe il fondo necessario. Per cui, optare per una gara corta, che poi tanto corta non è (10 km sono sempre 10 km, non 10 caramelle), è stata una scelta obbligata. Egli allora partirà con giudizio, ad un ritmo decisamente più lento del suo solito, diciamo di un 20-30”, che dovrebbe garantirgli una certa tenuta alla distanza. Valuterà… in corso d’opera, intorno al quinto chilometro, la situazione, che sarà sicuramente di affanno, data la desuetudine; e poi il tutto dipenderà anche dalla natura del percorso, se è pianeggiante oppure ondulato. Comunque, il ritmo tenuto fino a quel momento dovrà essere rigorosamente mantenuto, costi quel che costi…, cioè sofferenza a iosa… E’ in questo preciso momento della gara, fino alla vista dell’ultimo chilometro, che si qualifica l’ esperienza che si è voluta fare, il cui valore è altamente soggettivo ed è perciò racchiuso nella mente e nel cuore del podista stesso.

E poi, tranquilli…, passata la paralizzante bufera del “coronavirus”, basteranno al massimo un paio di gare corse in questo modo, per andare ancora incontro alla felicità.

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