L’urlo di Gabriella

Nell’immaginario collettivo degli sportivi, in quanto a immagine di esultanza, c’è l’urlo di Tardelli quando realizzò la seconda rete del trionfo dell’Italia ai mondiali di calcio del 1982. E’ un fatto. Anche noi ne siamo, per così dire, preda. Ma in noi, podisti ultradecennali che abbiamo sempre seguito le vicende dell’atletica leggera con grande partecipazione, esiste un’altra immagine che non abbiamo mai dimenticato e che, anzi, ogni tanto affiora ancora trepidante dalla nostra memoria: quella di Gabriella Dorio, vincitrice alle Olimpiadi di Los Angeles (1984), nei 1500 metri.

La sua partecipazione alle Olimpiadi prevedeva il doppio impegno degli 800 e de 1500 metri. Nella prima prova si era classificata quarta, con un finale convulso, fatto di spinte e spintoni, ma che le aveva dimostrato di avere le carte in regola per salire sul podio. Comunque, la delusione per la “medaglia di legno” era stata notevole. Nella finale dei 1500 metri, successe che…,

ma ecco come Gabriella, intervistata da Correre nel 2004, racconta l’impresa:

“… Al via la tensione era al massimo. Gabriella, mi dicevo, stai aspettando questo momento da 15 anni. Poi, naturalmente, tutto quello che avevamo preparato a tavolino andò a carte quarantotto. Speravo in un ritmo veloce e invece era lentissimo. Agli 800 buttai un occhio al cronometro e credo che per qualche istante il mio cuore si sia fermato. Cosa ho pensato in quel momento? Semplice: ho buttato il lavoro di una vita. Dovevo decidere qualcosa e l’ho fatto in 20 metri. Sono partita. Ancora oggi mi parlano della mia volata, invece se andate a rivedere quei passaggi scoprirete che ho fatto gli ultimi 600 metri regolarissimi, in 1’31”5. Li rivedo come fosse adesso: la Melinte mi segue, io ho 4 o 5 metri di vantaggio. Lei mi raggiunge ai 200 finali e mi passa subito. E fa’ un errore enorme, secondo me, giocandosi le sue possibilità. Io penso: passa, passa, che tanto adesso ti riprendo. Con una freddezza incredibile, a ripensarci. Ed è quello che faccio. Passo a 120 metri dalla fine, tenendo il mio ritmo. E ho il rettilineo davanti. Emozione, paura di non farcela. Gabriella, stai vincendo un’Olimpiade. Ho il sole alle spalle e vedo l’ombra della rumena, è sempre lì, stessa distanza. Alzo le braccia sul traguardo e un attimo dopo vedo un sacco di gente sconosciuta. Ma dove sono tutti quanti, dove sono i miei amici? Ho fatto il giro d’onore soprattutto per trovare Carlo, mio marito, che avevo sentito soltanto alle nove e mezza di mattina, poi più niente, non sapevo neanche se aveva trovato il biglietto per entrare. E finalmente l’ho visto, l’ho abbracciato e gli ho detto: avevi ragione, avevamo ragione, ho vinto un’Olimpiade. E cosa significa lo so ancora oggi: è un tatuaggio che ti porti sulla pelle, sul cuore.”

E a dire il vero, cara Gabriella, un piccolo tatuaggio sulla pelle e sul cuore, lo portiamo anche noi.

Diamo, di Gabriella Dorio, qualche dato. Nel corso della sua carriera ha stabilito 12 primati italiani, dagli 800 ai 3000 metri, 7 titoli italiani negli 800, 10 titoli nei 1500 metri e 4 titoli indoor. Ha vestito la maglia azzurra della nazionale di atletica leggera per 65 volte. E’ tuttora detentrice del record italiano sugli 800 metri (1’ 57” 66). Alle Olimpiadi di Los Angeles s’impose in 4’ 03” 25.   

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