Ciro Di Palma: professione ultramaratoneta

Sono Ciro Di Palma, uno al quale piace correre. Ma non “correre” e basta, “correre correre”, perché più corro e più vivo e sogno. E di un sogno vi voglio parlare, di una mia impresa che ne racchiude al suo interno di svariate. Parlo della mia partecipazione alla “Spartathon”, una corsa di 246 km, in ricordo di un percorso mitico che ha fondato la nostra civiltà. Essa fa’ parte ormai della mia vita perché, pur avendola corsa nel 2010, il suo ricordo mi accompagna tutti i giorni.

“Questa è la genesi dell’avventura, l’inizio del “sogno”. Comincio le ricerche: dove si corre, in che periodo dell’anno vede luce l’evento, se altri italiani vi hanno già partecipato. Trascorro ore a contattare persone, leggo tanti articoli, tanti blog e la “cosa” mi appassiona. Come un ragno che tesse la sua tela per imprigionare gli insetti così questa gara mi prende lentamente e poi sempre più fino a diventare “il mio sogno”. Leggo molto attentamente dal sito tutte le notizie e mi accorgo che bisogna qualificarsi, insomma fare prima un certo percorso per poi essere accettato. “Una difficoltà in più”, bofonchiai subito. Per me, che avevo corso solo fino a 50 km in gara, pensare di passare attraverso le forche caudine di una 100 km da correre in meno di 10h e 30’ sembrava molto arduo. Non mi scoraggio assolutamente e pieno di entusiasmo inizio a pianificare il tutto. “Bisogna passare da una 100 km per essere lì??? OK!!!” Inizio varie ricerche, studio percorsi, guardo tempi, classifiche…” Questa sì, questa no, questa forse.” Poi la ricerca termina con la scelta… 100 km di Seregno.”

Ne parlo al telefono col mio allenatore (Vincenzo Esposito) che cerca subito di dissuadermi. Ma poi alla fine cede, dicendomi che anche per lui è una cosa nuova. Sperimentiamo. Intraprendo il “lungo cammino”. Siamo ad ottobre. Maratona di Alessandria e UltraK Marathon (48 km). Arriva dicembre, il “generale inverno”. Maratona di Reggio Emilia e Maratona di Calderara di Reno sul fiume Lamone (Trial di 48 km). Con febbraio e marzo si entra nel vivo della preparazione: 50 km sulla sabbia a San Benedetto del Tronto, Maratona di Verona, Maratona delle Terre Verdiane e Maratona di Piacenza. Questa tabella, improntata sul rallentamento del ritmo che ero abituato a tenere in maratona e sulla durata degli allenamenti, volge ormai al termine. Ho imparato a curare al massimo i dettagli, perché ho constatato che è dalla cura dei particolari che si riesce in tutto. Niente può essere lasciato al caso: ristori, ritmo-gara, abbigliamento… Il 21 marzo giunge il giorno della gioia: 100 km di Seregno: 8h e 7’! 12° assoluto! Mi iscrivo alla Spartathlon!!!

Di corsa arriva anche il mese di maggio: Maratona di Custoza e 100 km del Passatore. Abbastanza bene. Poi, Ecomaratona del Venasto. Infine, la notizia tanto attesa: “Lei è iscritto col n. 389”! Inizio il lavoro specifico: Rimini Golden Marathon Extreme, Ecomaratona della Valdarda. Siamo all’ultimo mese. Corro una staffetta di 112 km con gli ultimi 70 km in salita; si parte da Lido Po e si arriva a Cerreto Laghi (da 22m sul livello del mare a 1261!). Un successo. Sono trascorsi 11 mesi. Ho consumato 11 paio di scarpe. Ho corso circa 6500 km.

“Finalmente!!! Dopo un lungo, lento e duro cammino fatto di allenamenti, calcoli e studi sono riuscito a vivere tutto per intero il mio “sogno”. Potrei iniziare col dire il piazzamento, il rilievo cronometrico o la condizione con la quale sono arrivato ,a per questo c’è tempo. Vorrei prima stabilire però una cosa importantissima: chi pratica uno sport estremo come le ultramaratone è pronto a rischiare l’incolumità fisica per arrivare al traguardo? Io sì, forse è da pazzi, però è così!!! Durante la gara ho dovuro prendere una decisione: al c. p. 35, dopo 124 km, 13h e 34’ di corsa e quando ancora mancava tanto tempo alla fine, il massaggiatore accorgendosi che avevo il bacino fuori asse mi ha detto che se avessi continuato avrei corso qualche rischio. Questo in una persona con dei dubbi e debole poteva essere una buona scusa per abbandonare, io, invece, ho deciso di continuare consapevole dei rischi che correvo. Una decisione presa a mente lucida e non offuscata dalla stanchezza. Ho pensato che se avessi voluto fare una corsetta semplice me ne sarei andato al parco, quindi il pensiero è stato quello di continuare. Diverso il discorso se il medico m’avesse fermato oppure fosse successo in allenamento, in quest’ultimo caso pur di arrivare al giorno della gara in buone condizioni mi sarei fermato obtorto collo. Una volta in corsa, però, non mi ritiro assolutamente. Questo che ho scritto non deve essere da esempio a nessuno, anzi il consiglio che do sempre agli altri è che, se c’è un problema, bisogna fermarsi assolutamente per non peggiorare la situazione… Come sempre tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare… Premesso tutto ciò posso adesso descrivervi l’emozione d’un sogno preparato in undici mesi, che ha preso forma lungo i 246 km del percorso che da Atene Filippide percorse fino a Sparta e che ha avuto il suo culmine dopo 33h 1’ e 1”, in 38a posizione e 2° degli italiani in gara. Questi sono i numeri.

 

                                                     Spartathlon: finalmente “il sogno”!

“La Spartathlon l’ho ormai terminata da un paio di mesi, così mentre i ricordi e le emozioni restano nel cuore e nella storia ormai in modo indelebile come una pennellata di Van Gogh su una tela, a mente fredda mi piace analizzare un po’ tutta l’avventura in terra greca, partendo però dai mesi che l’hanno preceduta e che hanno contribuito in maniera decisiva alla buona riuscita della manifestazione. Cosa può spingere un atleta come me ad uno sforzo così grande in condizioni quasi estreme? La risposta è semplice, ma la sua applicazione un po’ meno… La testa è una grande motivazione interiore. Tutti hanno nella forte spinta di finire un carburante super… Non basta!!! Questa spinta devi legarla ad un qualcosa di particolare, deve crescere di pari passo con la preparazione fisica e poi nel momento decisivo, cioè alla partenza della corsa, avere il suo culmine fino ad esplodere in energia positiva da cui attingere le forze. In una manifestazione come la Spartathlon, lunga e dura, anche questa energia mentale tende ad esaurirsi, così come in natura nulla si crea ma tutto si trasforma, dobbiamo attingere e trasformare in positività quello che viene dai ricordi degli allenamenti fatti, dei particolari che noti durante il percorso e dagli incitamenti della gente e degli altri atleti che in quel momento vivono, chi più chi meno, le tue stesse difficoltà. Lungo i 246 km del percorso è bastato incontrare dei ragazzini che mi chiedevano l’autografo per farmi sentire e diventare un protagonista, l’accoglienza ai check point mi dava il calore e l’affetto che si può chiedere ad un genitore quando sei un po’ perso. Il solo pensiero di fare lo stesso percorso di Filippide mi rendeva un guerriero. Dall’autunno scorso, lunghi mesi di allenamento e studio della gara hanno riempito le mie giornate. Ho iniziato a costruire il “sogno” e piano piano senza mai avere fretta sono riuscito a farlo diventare realtà. Ho edificato, durante le mie uscite di corsa, un castello dalle fondamenta molto solide ed inattaccabile da qualsiasi posizione e da qualsivoglia arma. Sono stato bravo a trarre dalle difficoltà i lati positivi. La lunghissima crisi al Passatore e la sofferenza alla Golden Marathon Rimini Exstreme potevano abbattere un elefantenon me!!! Un altro aiuto fondamentale alla mia “testa” l’ha dato il social network Facebook. E’ lì che scrivevo le mie sensazioni ed i  miei allenamenti, tantissimi amici mi hanno sostenuto, mi hanno incitato allo spasimo ed hanno condiviso con me tutto, momenti belli e momenti brutti,. Si era formato veramente un bel gruppo… “non li potevo deludere!!!” Sapevo del loro tifo e del rispetto che provavano verso la mia fatica, erano con me a spingermi quand’ero stanco, erano con me che mi riparavano quando di notte diluviava ed erano con me sul viale dell’arrivo… “no, non li potevo deludere assolutamente!!!” Per la strada che da Atene mi ha portato a Sparta, lungo la rotta che fu di Filippide, sono stato sempre lucido, non ho mai avuto un cedimento mentale, anche se in alcune circostanze degli eventi potevano essere indirizzati negativamente fino ad assurgere a pretesto o scusa facile molto credibile per ritirarmi. Mi spiego meglio. Al check point 35, 124 km di corsa, 13h e 34’ di gara, con ancora da correre 122 km e con un diluvio che veniva giù già da una quindicina di chilometri e che ci accompagnerà ancora per ore, decido che era giunta l’ora di farmi fare dei massaggi. Il massaggiatore dopo varie manipolazioni ha un dubbio e mi fa’ alzare, scuote la testa e dice che ho il bacino fuori asse e che avrei rischiato nel continuare la corsa. Una persona poca lucida e già in difficoltà davanti a un assist del genere si sarebbe arreso… Avrebbe avuto un solido alibi. Io invece “no”, con la consapevolezza di rischiare anche la vita in uno sport estremo decido di continuare, anzi siccome pioveva a dirotto e l’andatura non poteva che essere ridottissima anche per colpa del percorso in quel punto, ho pure la forza di mangiare un bel piatto di spaghetti tanto la digestione non poteva influire negativamente sulla prestazione agonistica diminuendo il mio rendimento. La corsa è stata infinita e così lungo il tragitto ho avuto modo di correre con atleti di altre nazionalità ed il mio essere poliglotta mi ha aiutato tantissimo. Dove ho avuto un’altra bella carica di energia è stato quando ho corso insieme agli altri amici italiani, ci facevamo forza gli uni con gli altri ed abbiamo pianto di gioia e cantato l’inno nazionale quando al c. p. 52, dopo 172 km e 23h e 3°’ di corsa abbiamo saputo che Ivan (Cudin) aveva vinto la gara. Questa notizia ci ha messo le ali al cuore, alla mente e alle gambe. La mia freschezza fisica e mentale mi portava a calcolare fino alla fine tutti i vari vantaggi sui tempi di chiusura dei ristori. Man mano che andavo avanti vedevo la fatica nei fisici e nelle teste di tutti gli atleti che superavo, ne rispettavo però il dramma sportivo e l’incitavo sempre con veemenza. Verso la fine, quando mancavano 5 km, ho iniziato a piangere dalla gioia fino a quando non ho imboccato il viale di circa 800m con la statua di re Leonida che la faceva da padrone e la gente dai balconi m’incitava. Correvo tra due ali di folla, non lacrimavo più, i bambini in bici che mi seguivano erano la mia scia, sventolavo la mia bandiera dell’Inter… “Ero in estasi e senza parole, muto.” A 250m dal traguardo ho stretto il drappo in un pugno ed ho iniziato ad urlare a squarciagola, liberandomi di tutto quello che avevo dentro. La gente capiva e mi osannava… Ho saltato i gradini che portavano alla statua e pure quelli giusto ai suoi piedi, cos’ invece di arrivare come fanno accarezzando il piede di re Leonida, ho fatto una schiacciata tipo basket. La gente era strabiliata da tanta vitalità, li avevo conquistati…, “ero il loro re”. Premiazione con corona d’alloro… e bevuta dall’ “ampolla” che la damigella mi ha portato e… lasciatemelo dire:

“Ce l’ho fatta!!!” In questa corsa ho messo “mente, cuore e gambe”, oppure come gli amici cariocas mi hanno detto al traguardo, “raca, amor e paixad” (orgoglio, amore e passione). Permettetemi di dirvi quell’urlo finale immortalato da centinaia di macchine fotografiche era il mio ringraziamento per tutti voi. “Grazie ancora”.

 

 

 

 

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