Mi faccio una domanda e mi do una risposta

Sono entrate sempre di più nel linguaggio comune alcune espressioni particolari, frutto evidentemente di un modo di dire subitaneo ed istantaneo tipico dei social. Una di queste, che… invita ad un riesame delle proprie opinioni, è: “fatti una domanda e datti una risposta”. Come per dire, “guarda che non è come dici tu.”

A pensarci meglio, è forse opportuno, nei momenti di solitudine (mancanza di un interlocutore), porsi delle domande che non ci vengono poste, per riflettere su questioni a cui altrimenti non potremmo trovare il tempo e le occasioni per rispondere. Dunque, mi faccio una domanda e mi do una risposta. Anzi, più di una… Sapete com’è… Un podista non può sempre correre… Alcune ore della giornata le deve dedicare anche ad altro…

Domanda. E’giusto dire che la qualità podistica è, generalmente parlando, peggiorata?

Risposta. Non è giusto, è inevitabile. Non è giusto, è esatto. Ma era abbastanza prevedibile che lo fosse. Non si poteva pensare che a una crescita del movimento podistico in quanto a numeri di atleti praticanti corrispondesse “di pari passo” una crescita anche della qualità. Le parole “quantità” e “qualità” sono quasi sempre, se non sempre, contrapposte. E’ un po’ come ripetere quel vecchio adagio, a proposito di modi di dire, che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Perché stupirsi? Però, la domanda ogni tanto serpeggia nella mente. Magari, nel frattempo, può essere  sopravvenuta una situazione che prima ha faticato a fare breccia nella mia considerazione. Ma no, non mi sembra. Anzi, se così posso dire, il livello si è ulteriormente abbassato, per una sorta di acquiescenza, di rassegnazione, di mancanza di attenzione, di spirito critico. Mi sono posto una domanda inutile e mi sono dato una risposta dolorosa.

 

Domanda. E’ lecito aspettarsi, sempre in via generale, un miglioramento della situazione?

Risposta. No, non credo. Per i motivi che prima ho accennato, è lecito aspettarsi qualcosa, sì, ma in peggio. Anche qui è possibile fare ricorso ad un vecchio adagio, e precisamente a quello che recita “al peggio non c’è mai fine”… D’altronde, vari elementi concorrono a consolidare questa tesi. Nel mondo podistico sono ormai entrate a pieno titolo figure non propriamente sportive e con sfumature (a volte marcate) di mero mercantilismo, costituite sia dagli addetti ai lavori (organizzatori vari di eventi sportivi e sponsor commerciali) sia dagli stessi atleti partecipanti (richieste di ricchi pacchi gara e di premi rilevanti), che ne hanno ormai destinato la funzione a semplice occasione di spettacolo e di divertimento, con limitato, se non nullo, sforzo agonistico per quelle che in passato erano le agognate e preparate prestazioni cronometriche.

Domanda. Stando così le cose, quale futuro aspetta il podismo regionale?

 

Risposta. Chissà perché, ma io quando sento parlare di futuro, penso sempre ai giovani… Non credo che il podismo regionale possa aspettarsi un futuro degno di questo nome se non inverte per così dire la rotta, se non si da’ un segno di discontinuità col presente, con la realtà, che è tutta ormai indirizzata in una direzione ben precisa, che tra l’altro non ha sbocchi sportivi a parte, forse, qualcuno di natura commerciale. Per cui, la scelta si dovrebbe concentrare sulle future generazioni, cioè sui ragazzi, spingendo da un lato gli organismi federali a ripristinare le iniziative nelle scuole come ad esempio i Giochi della Gioventù di una volta, e da un altro lato a destinare i premi in denaro che si elargiscono alle società nelle gare unicamente a quelle che hanno nel loro curriculum di base certificazioni che svolgono attività nelle categorie di riferimento.

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