Quel buco sulla tomaia della scarpa

La scarpa del podista è molto bella, colorata e splendente nella sua esibizione. Però, spesso la bellezza non si sposa con l’utilità per lungo termine… Bisognerebbe che per la scarpa, al pari degli  elettrodomestici, ci fosse una forma di garanzia che ne assicurasse la durata, sia della bellezza che dell’utilità… Certo, non di due anni, come avviene nella maggior parte dei casi per gli elettrodomestici per “difetto di fabbricazione”, che forse è “studiato e voluto a tavolino”…

Alludiamo a quel buco sulla scarpa, nella parte della tomaia, dove alloggia l’alluce. Dopo poco tempo e dopo pochi chilometri, si crea un “buco”, una lacerazione della tomaia, a causa della pressione che l’alluce vi opera quando il piede si trova nella fase dell’appoggio. Fisiologicamente, avviene che l’alluce, che è il punto più lungo del piede, vada “a sbattere” sulla tomaia per effetto dell’impatto col suolo del tallone che gli determina un innalzamento ragione per la quale va’ “ad impattare” per l’appunto la tomaia.

Non è bello e non è utile, come si diceva, il verificarsi di questa situazione. A parte il dato estetico, che potrebbe avere anche un’importanza piuttosto relativa, è che si può determinare nell’atto della falcata un qualche disequilibrio. Agli inizi degli anni 70, quando il fenomeno della corsa prese a svilupparsi e le scarpe per correre smisero di essere “quelle da tennis”, come se gli altri sport non potessero averne di proprie e specifiche, i costruttori ponevano, giustamente, uno strato di tomaia duro e non traforato a protezione degli alluci, a dimostrazione che essi sapevano di questa caratteristica che accompagnava la calzatura e il gesto del podista. La conseguenza è stata il porre sulla scarpa da running un “ridicolo” strato di tomaia non traforata, assolutamente insufficiente a risolvere il problema. Ma, allora, cosa resta da fare al podista, visto che nessuna marca di scarpe presenta il rinforzo, che dovrebbe essere sentito come una necessità doverosa per la ditta costruttrice, al fine di salvaguardarne la durata, nonché la qualità?

La soluzione che proponiamo è semplice, economica e “discreta”. Invece di stare lì a rattoppare la parte con ago e filo nell’intento di creare uno strato di protezione, è meglio munirsi di scotch da imballaggio (molto più duro rispetto a quello da scrivania), tagliarne un po’ per coprire lo spazio desiderato (ne basta un quadratino di 3 centimetri quadrati) e applicarlo sotto la tomaia. Facendo così, si ottiene la protezione non da sopra ma da sotto della tomaia, la si rinforza senza darlo a vedere e ci si assicura un… lungo sodalizio fra la bellezza e l’utilità.

Qualche piccolo inconveniente potrebbe verificarsi quando si nota il pezzettino di scotch, perché traspare dalla tomaia. Allora, basta usare dello scotch da imballaggio che sia trasparente e il gioco è fatto. Oppure, quando si comincia anche solo a camminare e si sente la plastica del materiale inserito scricchiolare. Ma dopo un po’ lo scotch aderisce perfettamente al piede, fino al punto da assumerne la forma naturale e di ridurre quindi del tutto l’anomala frizione.

Ora, se avete avuto la pazienza di leggere l’articolo fino in fondo, vi sveliamo qualcosa che forse non sapete. Lo “scotch” venne inventato dal ricercatore statunitense Richard Drew, che nel 1925 lavorava per la “3M”. Agli inizi era chiamato, giustamente, “nastro adesivo”. Però, visto che la colla usata, per risparmiare sulla produzione, era applicata con molta parsimonia, venne denominato “scotch”, cioè “scozzese”, con l’evidente allusione alla famosa spilorceria di quella popolazione.

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