Franco Manna e le sue foto: testimonianze per i podisti

Accade che nella cosiddetta civiltà dell’immagine non si sappia bene la fotografia, che è la quintessenza dell’immagine, la sua più alta espressione e realizzazione, cosa sia in realtà. In fin dei conti, come nella maggior parte delle cose, la spiegazione è nella parola stessa: “fotografia” è composta dai termini “foto = luce” e “grafia = scrittura”, un procedimento cioè che “cattura” la luce e la trasforma in immagine, “impressionandola” (non “spaventandola”, bensì “premendola”) su di una superficie sensibile. L’invenzione della fotografia, in definitiva, si deve al francese Jacques Daguerre, che nel 1839 rivelò al mondo intero una tecnica per “dipingere con la luce”. Sì, perché fino a quel momento era toccato ai pittori riprodurre la realtà; nature morte, panorami, persone, mediante pennelli e colori, oltreché tele.

L’esigenza di riprodurre la realtà dalla vita di tutti i giorni era soddisfatta dai pittori, o comunque dai disegnatori. Basti pensare che perfino Napoleone, nella famosa campagna d’Egitto, se ne portò al seguito, di disegnatori, un centinaio, con il compito specifico di riprodurre fedelmente oggetti, manufatti, monumenti e architetture di quell’antica civiltà. Uno di essi così descrive la sua attività:

“ Matita alla mano, passavo di oggetto in oggetto: distratto dall’uno per interesse dell’altro…, disporre e mettere un qualche ordine in tutto ciò da cui ero colpito.” (Vivant Denon). L’immagine, dunque, come rappresentazione fedele della realtà: questa è la fotografia. Essa, della realtà, ne costituisce per così dire testimonianza (come la testimonianza in un processo), rendendola a tutti fruibile, non solo per fini estetici. Infatti, la fotografia fin dal suo nascere ha fermato l’attimo di star famose della celluloide, ha dato un impulso notevolissimo all’informazione giornalistica, alle cronache sportive e belliche e ha creato un settore professionistico specifico (il “fotografo”) che ha avuto modo di districarsi in tutti i settori umani, da quello artistico e civile (le pubblicazioni di Oliviero Toscani, tanto per fare un esempio) a quello podistico (i resoconti fotografici delle gare di Franco Manna…, tanto per farne un altro).

Ed è da questo dato di fatto che vogliamo partire, dal riconoscimento della professionalità di Franco Manna, non dovuta certamente alla forte amicizia che ci lega, da molti anni, alla sua persona. Anzi, ci sembra il caso di approfondire ulteriormente l’argomento, cercando di far notare alla moltitudine dei podisti che sempre, settimanalmente, invadono il web alla ricerca delle proprie istantanee “catturate” da Franco, quanto questo servizio possa essere utile a loro stessi quale momento di confronto e di verifica del proprio stile di corsa, da mantenere e consolidare, o perfino  migliorare e perfezionare.

Prendendoci la libertà di procedere a tale esame, esamineremo delle foto che ritraggono alcuni amici nell’atto della corsa, privilegiando i momenti centrali di una gara, dove cioè lo stile non è condizionato dall’enfasi dell’arrivo, ma neanche dalla tranquillità della partenza. Cercheremo di fare quello che secondo noi dovrebbe fare ogni buon podista nell’atto di sfogliare l’album fotografico: esaurito il primissimo momento di vedere come si è venuti (la fotogenia ha pure una certa importanza…), bisognerebbe soffermarsi sugli aspetti che denotano inequivocabilmente qual è la nostra postura, se non sia il caso di apportare qualche modifica al nostro stile di corsa, al nostro modo di mettere in pratica il “gesto”.

Cominceremo con una foto che riproduce  il corretto stile al quale tutti i podisti, indistintamente, dovrebbero uniformarsi. La scelta è stata ardua, ma alla fine abbiamo pensato che non fosse il caso di perdere l’intera mattinata nella ricerca ed abbiamo optato per una delle innumerevoli della nostra amica Sonia. Sarà del tutto evidente come la fase di volo sia ortodossa, così come la posizione delle spalle e delle braccia, con il busto leggermente inclinato in avanti e la testa dritta, e  non rigida rivolta verso l’alto. Naturalmente, questa e le altre foto, riprodurranno amici che corrono sul piano, perché come sanno tutti i podisti, le salite e le discese necessitano di approcci leggermente diversi dai tratti pianeggianti. Detto questo, riprendiamo il discorso della cosiddetta “fase di volo”, che in effetti caratterizza la corsa, differenziandola dalla camminata. Nella corsa, sia pure impercettibilmente, entrambi i piedi devono sollevarsi dal suolo; nel fare ciò, una gamba, quella di spinta, è tesa come se volesse raspare il terreno, mentre l’altra è piegata col ginocchio più o meno all’altezza dei bicipiti femorali anteriori e con il piede che si prepara all’atterraggio di pianta, non col tallone. In mancanza di questi fattori, come nel caso della nostra amica Mina, si ha

una sorte di walking, cioè di camminata; si procede in avanti, ma in mancanza della spinta propulsiva della gamba di appoggio e della fase di volo, la velocità perde consistenza. Parlando di appoggio, non possiamo non dire che l’atterraggio nel podismo riveste una importanza quasi assoluta, che determina non solo degli esiti di ridotta velocità (perché atterrare col tallone, in effetti, si frena, non si procede), ma anche seri infortuni (essendo i po

disti, tutto sommato, dei fondisti). Nel caso dell’amico Casimiro possiamo facilmente notare come egli appoggi male il piede destro, in modo a

bnorme, con la punta del piede rivolta verso l’esterno, in modo laterale. Forse l’istantanea coglie il nostro amico nell’atto di un infortunio, o di una stanchezza eccessiva, ma se fosse una sua pratica abitudinaria andrebbe, incontro a usura o lesione del ginocchio e della caviglia, costringendolo a periodi di forzato riposo piuttosto prolungati. Infine, “cogliamo due piccioni con una sola fava”, tramite una foto che vede simultaneamente ripresi altri due amici, Alfonso e Nello. I due hanno, per così dire, “spalle diverse”; quella di Alfonso è lineare, non è tesa e contratta, e si lascia scorrere lungo il fianco in modo sciolto; mentre quella di Nello è sollevata quasi al collo, in maniera contratta che, per essere mantenuta, richiede alla lunga anche un certo sforzo. Quindi, mentre la corsa di Alfonso procede tranquilla, almeno sotto

questo aspetto, quella di Nello lascia presagire (sempre sotto questo specifico aspetto) un qualche cedimento nel finale di gara.

Nulla da eccepire, ben inteso, se il podista si limita all’aspetto ludico della corsa e all’aspetto estetico delle foto, per carità. Però, secondo noi, si dovrebbe sempre ponderare il fatto, riconosciuto dagli esperti del settore podistico, che migliorare il proprio stile di corsa vuol dire migliorare il proprio rendimento. Aggiungiamo noi che migliorare il proprio rendimento vuol dire correre avvertendo in misura minore la fatica; che è poi, “il faticare di meno”, la migliore forma possibile di divertimento!

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