I due volti del podismo campano

Senza avere la presunzione di avere in tasca la verità, o per meglio dire l’esatta percezione della realtà, ci permettiamo di esternare il nostro pensiero riguardo all’evoluzione del podismo in Campania.

Non vorremmo sembrare ancorati al passato, ma neanche proiettati bruscamente nel futuro, nostalgici in un caso, avventuristici in un altro. Abbiamo solamente, come Giano bifronte, rivolto lo sguardo al passato e al futuro per trarne osservazioni utili a cercare di formulare un giudizio che possa regolare un po’ meglio la nostra sincera passione per il podismo e per tutto quello che vi avviene nel suo ambito.

Partiremmo dall’inevitabile premessa che la società, anche se non sembra, cambia di continuo, basti pensare alla preparazione e allo svolgimento delle attuali gare podistiche rapportate a quelle del passato. Veramente ci sembra di essere al cospetto di un’era archeologica, nella migliore delle ipotesi pionieristica. Uno magari non ci bada, preso dai tanti aspetti della vita quotidiana, ma s’è verificato un cambiamento straordinario; si è passati dalla telefonata al whatsapp, dalla trasmissione di un dato sonoro in diretta a quella comprensiva di video. Una cosa incredibile, in grado di velocizzare e globalizzare le informazioni e quindi di modificare alla radice gli usi e i costumi, civili e culturali.  Per restare al podismo, non vogliamo nemmeno più immaginare una gara senza chip e senza la possibilità di verificare in tempo reale la classifica generale. Questo non è pettegolezzo fine a sé stesso, ma è informazione; e l’informazione è alla base della conoscenza e quindi del miglioramento delle condizioni generali dell’individuo. Dobbiamo convenire che, chi si ostinasse ad organizzare gare podistiche senza l’ausilio dei moderni strumenti tecnologici, è fuori dalla logica dei tempi. Di rimando, costui o costoro abbarbicati su certe posizioni, potrebbero (come sembra che in effetti facciano) invocare il ripristino di atti e di situazioni del passato, per porre un rimedio all’abbassamento medio delle prestazioni cronometriche che si registrano ormai da qualche anno, proprio perché, si sostiene, è declinato lo sforzo e l’impegno fisico dovuto all’utilizzo massiccio e quasi incontrollato dei moderni mezzi tecnologici. Si fanno gli esempi di podisti che durante le gare non badano allo sforzo agonistico, bensì a quello estetico, cercando di farsi immortalare nel modo più idoneo nelle foto, a discapito di quello che una volta era il corretto stile di corsa e la smorfia di fatica e di sofferenza che ne derivava.

Ma, in un ipotetico dibattito sul tema, i fautori del modernismo, chiamiamolo così, avrebbero senz’altro ragione, perché organizzare manifestazioni podistiche moderne, significa inglobare dati e situazioni molto differenti: si è passati da un 200-300 atleti a più di 1000. Ciò richiede, tra l’altro, anche qualche nuova figura, più professionale e qualificata, come giustamente la società si è sentita in grado di concepire: si pensi alle qualifiche che elargiscono le facoltà di Scienze Motorie per quanto concerne il management sportivo. La nuova situazione richiede soprattutto la presenza di figure una volta guardate con sospetto, gli sponsor, oggi assolutamente irrinunciabili e non perché “senza soldi non si cantano messe”, ma perché senza adeguate risorse finanziarie non si possono impegnare persone per intere settimane fidando sul loro buon cuore o sulla passione che hanno per la corsa. Gli stessi “rimborsi-spese”, spesso oggetto di discussioni (sulla liceità che vi siano), esistono perché vanno a coprire i costi che inevitabilmente ci sono: è una legge dell’economia politica: se c’è domanda, allora l’offerta si deve adeguare.

E’ a questo punto che gli oppositori di quello che abbiamo chiamato modernismo s’inalberano. Essi vedono in queste mutate realtà, le ragioni che hanno prodotto l’abbassamento delle prestazioni sportive, a causa delle distrazioni personali a cui il fenomeno corsa è sottoposto. Così come vedono in tale allegra e disinvolta somministrazione di servizi da parte degli organizzatori un calo di interesse verso il rendimento sportivo delle gare al netto delle loro soddisfazioni gestionali. Portano ad esempio il numero spropositato degli atleti partecipanti, anche di una sola squadra, proprio per accaparrarsi i “rimborsi-spese” e il titolo di campione a squadra, dimenticando che i titoli, quelli veri e “cronometrici”, sono sempre e solo quelli individuali. E chiamano a conforto i tempi fatti riscontrare da atleti del passato, alcuni dei quali ancora inopinatamente sulla breccia!

Sono due opposte visioni che possiedono entrambe delle giuste motivazioni; ma il successo di quella moderna rispetto alla passata, secondo noi, non significa necessariamente che si debba pensare ad essa come alla migliore, perché molto (troppo) spesso il successo non corrisponde al merito, per cui restiamo memori del monito di Italo Svevo contenuto nell’ultima pagina del suo “La coscienza di Zeno”:

“… Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute. Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori dal suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comprano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole…”.

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