Abebe Bikila, un vero mito del podismo

Abebe Bikila è un vero mito del podismo, perché le sue imprese si legano direttamente alla storia di Filippide, destando in chi le ha vissute e le ricorda le stesse incredibili suggestioni e riflessioni.

Per chi non lo sapesse, o avesse sentito vagamente parlare di Abebe Bikila, ricordiamo brevemente chi era. Egli, eritreo, nacque a Jato nel 1932 e morì ad Adis Abeba nel 1973. Agli inizi della sua incredibile vicenda, era un agente della polizia imperiale del negus Hailè Selassiè. Si mise in luce nelle prove delle selezioni militari per partecipare alle Olimpiadi di Roma, sotto lo sguardo attento di un allenatore svedese, Onni Niskansen, che aveva avuto l’ordine dal negus di formare una squadra podistica per i Giochi (allora la Svezia era all’avanguardia nelle gare di fondo…).

A Roma, Abebe Bikila meravigliò tutti, non solo perché vinse, ma anche perché stabilì il nuovo record sulla maratona (3h 15’ 16”) e soprattutto perché la corse scalzo! Si disse che era abituato a correre scalzo, si disse che fosse stato un consiglio del suo tecnico, si disse che erano finite le scarpe fornite dallo sponsor della manifestazione e che gli avessero date un paio non della sua misura e si disse che per evitare problemi decise di non farne uso, si disse anche che gli atleti… greci antichi correvano scalzi, si disse che, poiché la maratona sarebbe stata corsa di notte, i piedi non avrebbero risentito il calore dell’asfalto. Insomma, i commenti furono i più disparati: l’impresa fu veramente notevole e molti ne diedero la loro personale spiegazione. In verità, Abebe Bikila era un grandissimo campione. La sua vittoria venne paragonata a quella di un intero continente che si stava affrancando dalle dominazioni politiche e commerciali dell’occidente e alla vittoria degli ateniesi quando sconfissero il potente impero persiano. E lui, Bikila, era il moderno Filippide.

Abebe Bikila sembrava proprio che impersonasse le parole di Bronislaw Malinowski riguardanti il “mito”: “Studiato dal vivo, il mito non è una spiegazione che soddisfi un interesse scientifico, ma la resurrezione in forma di narrazione di una realtà primigenia, che viene raccontata per soddisfare profondi bisogni religiosi, esperienze morali, esso esprime, stimola e codifica la credenza; salvaguardia e rafforza la moralità; garantisce l’efficienza del rito e contiene regole pratiche per la condotta dell’uomo. Il mito è dunque un ingrediente vitale della civiltà umana; non una favola inutile, ma forza attiva costruita nel tempo.”

La grandezza di Abebe Bikila si dimostrò anche quattro anni più tardi, alle olimpiadi di Tokio. Poche settimane prima dell’avvenimento, egli fu operato di appendicite e si pensava che avesse ormai pregiudicato in maniera irreparabile la preparazione della maratona. Invece, incredibilmente, la corse (questa volta con le scarpette…), migliorando il suo stesso record mondiale sulla distanza portandolo a 2h 12’ 11”! E non si era ancora visto un atleta vincere due maratone olimpiche consecutive!

La figura di Filippide, il corridore d’eccellenza delle lunghe distanze, il suo mito, era sempre di più contrassegnato e reso vivo da Abebe Bikila. Però, il tempo e le avversità giocarono il loro ruolo: un infortunio al perone lo costrinse al ritiro alle Olimpiadi di Città del Messico e, quel che è peggio, un gravissimo incidente d’auto gli impedì per sempre l’uso delle gambe. Ma un mito è un mito, perché resta sempre vivo e attuale: Abebe Bikila, per noi,  ora corre nell’eternità.

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