La crisi di fame

L’altro giorno parlavo con la consuocera di alimentazione. Il nipotino dormiva…, quindi potevamo parlare tranquillamente, sia pure sottovoce.

Dicevamo che quando lui ha fame, strilla come un assatanato, diventa veramente insopportabile e non bisogna fargli “vedere” che gli si prepara da mangiare, perché aumenta ancora di più l’insopportabilità.

La consuocera ha detto: “Gli viene proprio una crisi di fame.” Al che io, immediatamente, sono andato con la mente ad una maratona Napoli/Pompei, durante la quale mi venne “la crisi di fame”.

Praticando il podismo, avevo ovviamente sentito parlare della crisi di fame, ne avevo anche letto su articoli medici e sportivi. Pensavo che fosse un qualcosa di remoto, di insondabile, un qualcosa

come un infortunio che non ti viene mai, un qualcosa a cui tu sei immune, un qualcosa di strano…,

che bastasse avere un po’ di attenzione nel mangiare e che fosse quindi nella maggior parte dei casi una questione di disattenzione. Pensavo.

Ma lasciatemi raccontare.

Di quella maratona non ricordo esattamente l’anno (forse il ’98), né il tempo finale (2’ o 3’ sotto le 3 ore), ma ricordo perfettamente il fenomeno che mi capitò. Ricordo che avvertii molta stanchezza intorno al 37° km.

Guardai l’orologio, per capire di quanti minuti dovesse durare ancora la sofferenza: non riuscii a leggere il cronometro. Decisi di ricontrollare al prossimo km segnato. Al passaggio, guardai di nuovo il cronometro, ma ancora una volta non capii niente. Intanto, ero stanco, ma proprio stanco! Procedendo come un automa, e anche come una lumaca, volevo ormai solo arrivare al traguardo…, per mangiare! Quando dopo quella che mi sembrò un’eternità arrivai al traguardo, ricordo che vidi un amico di squadra che non aveva partecipato. Gli dissi di andare al bar a prendermi un pacco di biscotti. Se ne venne con uno di quei pacchetti di wafer. Nel divorarlo quasi con la carta, gli rimproverai:

“Ma che capit’, piglia ‘na busta ‘e biscott’!”

Intanto m’ero seduto sul ciglio del marciapiede più vicino. Lì rimasi a mangiare per interno la busta di frollini. Si badi: non mi ero neanche cambiato. Volevo soltanto mangiare.

Una volta finito che ebbi quei biscotti, feci ritorno a casa. Mia moglie mi accolse col classico “com’è andata?”, al che io non risposi con l’altrettanto classico “Bene”, ma con un istintivo e sincero “Ch’ ‘nce stà a mangià?”, che la sorprese non poco. Non ci crederete, ma quando finii di mangiare quell’ottimo ragù, avevo ancora fame!

Verso sera analizzai l’accaduto. Dove avevo sbagliato? Pensa e ripensa…, pensa e ripensa…, e il…

il motivo è presto detto. La sera precedente la maratona, contrariamente al mio solito, non avevo mangiato pasta e legumi (spesso fagioli) con dei dolci senza crema (spesso crostate) ma, come primo, un piatto di riso in bianco. Ecco il motivo: a un certo punto, avevo finito la benzina. Ed era venuta, puntuale, la crisi di fame.

Eppure sapevo. Sapevo che l’alimentazione del podista deve essere sempre bilanciata, sempre, anche se non si corre una maratona. Devono essere ingeriti, in proporzione:

  1. carboidrati 60% (pane, pasta, patate, mais, ecc.);
  2. proteine 20% (carne, pesce, legumi, ecc.);
  3. fibre 20% (frutta, verdura).

Sapevo anche che i pasti è meglio dilazionarli durante la giornata in questo modo:

  1. colazione del mattino (abbondante);
  2. spuntino del mattino (per non arrivare al pranzo affamato);
  3. pranzo (leggero, per non appesantirsi);
  4. spuntino del pomeriggio (frutta, che si mangia lontano dai pasti);
  5. cena (per integrare ed equilibrare gli alimenti della giornata).

Credevo di essere un buon atleta. Ma lo sono diventato solo dopo che ho avuto “la crisi di fame”.

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