I campioni come modelli identificativi

Nello sport, così come nella vita, esiste il “modello identificativo”, cioè quel meccanismo, per cui un individuo si identifica in una persona in particolare, perché si ritrova nei suoi comportamenti. Ciò vale soprattutto nei primissimi anni di vita, quando come sappiamo il bambino si identifica con i genitori. Ma poi… egli cresce, gli piace correre… e diventa podista… Tale modello identificativo, quindi, è un fatto naturale, connaturato alla psiche umana. Sarà poi l’ambiente esterno alla sua realtà (la famiglia, la scuola, il contesto sociale) a formargli la personalità, vale a dire il suo modo di concepire la vita, i suoi atteggiamenti, le sue scelte pratiche e… i suoi campioni di riferimento, quelli in cui vede materializzarsi le sue aspettative, i suoi sogni e bisogni. Maturerà le caratteristiche che lo accompagneranno durante tutta l’esistenza. Anche quando vorrebbe che non fosse così, avrà un’ indole che lo porterà a “tifare” per qualche campione in particolare…

Ora, tralasciando quegli aspetti che ci riconducono all’identificazione della massa delle persone sia col campione che magari con la squadra, molto frequente ad esempio nel calcio, soffermiamoci per un istante nel nostro campo, cioè sul podismo: cosa avviene nell’animo del singolo podista, quando si trova di fronte al suo campione di riferimento? Egli non sa, o forse lo sa ma se ne infischia, ha già operato una scelta: lo cerca, e lo trova, nella sua costituzione ancestrale. Le realtà, le caratteristiche del campione, rispondono a quelle sue, realizzatesi o meno. C’è un bell’esempio, al riguardo. Nel programma televisivo “Zeus”, di qualche anno fa, Luciano De Crescenzo sottolineava, a proposito di un mito greco, la differenza fra Maradona (dionisiaco) e Platini (apollineo). In effetti, l’argentino rifletteva il modo di essere impetuoso e istintivo, perfino sentimentale; mentre il francese quello elegante, raffinato, molto razionale. L’ingegnere filosofo napoletano arrivava perfino a distinguere gli uomini in queste due categorie. E aveva ragione.

Un podista, nell’atto di aderire a un podista di riferimento, ne ha già tratto un’immagine di identificazione possibile; ne ha già introitati e fatti propri le caratteristiche sue, le sue difficoltà, le sue gioie, le sue cadute e le sue risalite. In un certo senso, rivive la sua vita con quella del campione.

Vogliamo fare qualche esempio, sia pure nei ristretti ambiti e limiti della nostra trattazione?

Prendiamo il caso di Livio Berruti e di Pietro Mennea. Lui apollineo, l’altro dionisiaco. Lui, bello ed elegante, dall’origine sociale borghese, studente, di Torino, rappresentante di una Italia in piena crescita economica. Lui, sgraziato e feroce, dall’origine popolare, di modeste condizioni economiche, figlio di un sud Italia abbandonato e degradato, di Barletta, dove non esiste nemmeno una pista di atletica… Entrambi con il record del mondo sui 200 metri…, entrambi con la medaglia olimpica…Quanti Berruti e Mennea si nascondono dietro i campioni del podismo di oggi? Chissà. Però, siamone certi, in ognuno di noi, semplici podisti di tutti i giorni, c’è un piccolo grande dissidio interno, risolto subito nel momento stesso che affiora alla nostra mente e al nostro cuore, su chi meriti di più la nostra simpatia, rispetto a quelli che vediamo correre, intorno a noi o nella nostra immaginazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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