Il toe box di una scarpa podistica

L’evoluzione del podismo si nota in tutte le sue parti… Anche in quella della calzatura, ovviamente. Anzi, la prima cosa che si nota in un podista è la sua scarpa; e a vederne una degli anni 80 si capisce tutta la portata del cambiamento. Ne abbiamo presa una a modello (ci scuserà la casa costruttrice che i podisti anziani avranno subito riconosciuto…), per evidenziare con simpatica comprensione quanto abbia avuto importanza il portare alla massa dei podisti dei benefici che potessero essere di conforto, sia sotto l’aspetto dell’abbigliamento che sotto quello cronometrico. E un po’, diciamolo, anche per quanto riguarda il versante commerciale…

Dall’immagine pubblicata si notano dei rinforzi alla tomaia, specialmente nella parte del puntale della scarpa, quella che gli addetti ai lavori chiamano “toe box”. A dire il vero, sono rinforzate anche le parti esterne, quelle che coincidono con la piegatura della scarpa nell’atto di trazione del piede nell’operare l’inizio di falcata, il momento in cui cioè si comincia ad imprimere la spinta. Come mai, ad osservare le scarpe moderne, questi “accessori” sono quasi del tutto scomparsi…? Non può trattarsi di ricerca di leggerezza. La tomaia è un tessuto di per sé già molto leggero, e in più è traforata, per consentire la giusta aereazione. Ci dev’essere un altro motivo…

Quando il podista opera il suo appoggio, sia di tallone che di avampiede, deve toccare con le dita del piede la punta della scarpa. Poiché l’alluce è il dito più grande e lungo, sbatte continuamente, più degli altri, nel “toe box”. Ma, attenzione, fisiologicamente, “l’urto” non avviene col dito in orizzontale, ma esso tende ad alzarsi nell’istintiva e naturale condizione di riduzione dell’impatto. Per cui la parte della tomaia sovrastante è viepiù sollecitata. Ecco perché le prime scarpe, dagli anni del dopoguerra fino agli anni 80, sono state costruite con questa particolarità alla tomaia, proprio per proteggerla dall’usura che la sollecitazione dell’alluce comportava.

Ora però le cose sono cambiate, o meglio, le aspettative delle case costruttrici e dell’indotto per la distribuzione e la vendita delle scarpette da running sono indirizzate per lo più al prodotto da usare, ma soprattutto consumare. A ben vedere, se fossero rimasti i “toe box” di una volta, il limite dei 1.000 km oltre il quale è consigliabile che il podista non corra e che quindi cambi scarpa, pena qualche infortunio, porrebbe un problema, in prospettiva economica, molto serio.

Quindi, oggi possiamo trovare degli aggiornamenti tecnici alla scarpa da running in altri parti (ad esempio, all’intersuola in fibra di carbonio, alla mescola espansa del battistrada, allo spessore del gel alla conchiglia, e ad altri punti), ma difficilmente noteremo il toe box di una volta. Forse, lo troveremo soltanto nella forma trail delle scarpe, dove per fortuna appare proprio indispensabile.

 

 

 

 

 

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